Le Anime del Purgatorio nella Vita di Fortunata Evolo conosciuta come Natuzza Evolo [Giuliano Lilli presbitero]
LE ANIME DEL PURGATORIO NELLA VITA DI FORTUNATA EVOLO NOTA
COME NATUZZA EVOLO:
SOLO QUALCUNA PERSA QUALE PROVVIDENZIALE AMMONIMENTO
ALL'IMPENITENZA OSTINATA.
AVVISO IMPORTANTE
[8 APRILE 2022]
CARISSSIMO LETTORE NON TI ARRENDERE O SCORAGGIARE
MA
CONSIDERA QUESTO LUNGO ARTICOLO IN TANTI TASSELLI
BEN COLLOCATI LOGICAMENTE TRA LORO DI CUI OGNUNO
RISULTA BEN PERFETTO GIÀ IN SÉ NEL CHIARIRE
COSÌ MAN MANO I VARI PASSAGGI INDISPENSABILI
ALLA COMPRENSIONE DELL’UNICO DISEGNO MOSAICALE
CHI SCRIVE NON SAPREBBE FARE DIVERSAMENTE
DA TALE STILE SEMI-BIZZARRO DI CUI
NON È MAI PIÙ RIUSCITO A LIBERARSENE
PERCHÉ VUOLE OFFRIRE
LE PIÙ PROVE STORICHE ED AGIOGRAFICHE
CERTOSINAMENTE OVUNQUE RACCOLTE
PRECISIAMO IN QUESTA CONSIDERAZIONE IMPORTANTISSIMA: DA NATUZZA EVOLO IN TRANCE OPPURE IN VISIONE SI PRESENTAVANO I DEFUNTI SPONTANEAMENTE DIETRO VOLONTÀ DIVINA… ASSOLUTAMENTE NULLA AFFATTO IN COMUNE CON L’ESOTERISMO O MAGIA CHE EVOCA I DEFUNTI PRESENTANDOSI, POI, SOTTO LE LORO SEMBIANZE PUNTUALMENTE IL MALIGNO,!...
ANCHE PER NATUZZA EVOLO COME PER PADRE PIO DA PIETRELCINA PUNTUALE QUANTO OTTUSO IL GIUDIZIO DELL’INVIATO DELLA SANTA SEDE PER IL FRATE SANNITA, DEL VESCOVO DI MILETO PER LA RAGAZZA CALABRESE, MA SEMPRE PADRE AGOSTINO GEMELLI: PATOLOGIA NARCISISTA!... ISTERISMO!... CHIUSA IN MANICOMIO I MEDICI COMPETENTI PERÒ LA RIMANDAVANO TEMPESTIVAMENTE A CASA IN QUANTO
SANA COME PESCE E OTTIMA GIOVANE DA MATRIMONIO!....
BENEDETTO CROCE:
FRASARIO SPIRITUALE DEVOTO FALLACE IN SOMMO GRADO
ESATTAMENTE COME IL SUO NOME CRISTIANO!
“FEDE RELIGIOSA NELLA LIBERTÀ” E “FEDE RELIGIOSA OPPOSTA” OVVERO O LA SCELTA DELLA SINTESI DI TUTTE LE ERESIE OPPURE LA CHIESA CATTOLICA E LO STESSO MONDO NATURALE!... NON SFUGGA AL LETTORE IL FALLACE TERMINE “RELIGIONE” CHE SOSTITUISCE AD ARTE L’ATEISMO TEMPLARE ILLUMINISTA!...
COLUI CHE APPARE A NATUZZA EVOLO, DUNQUE, NON A CASO IN CONCOMITANZA COL SOMMO POETA DELL’ALDILÀ E DELLA LETTERATURA NATURAL-CRISTIANISSIMA ITALIANA DANTE ALIGHIERI, NON È UN PENSATORE QUALSIASI
MA È L’INTOCCABILE MOSTRO SACRO INTERNAZIONALISTA GLOBALISTA
CHE PONTIFICA NELL’INTERO MONDO LIBERAL GIACOBINO IL QUALE CONTRAPPONE IMPERTURBABILMENTE ALLA CHIESA CATTOLICA OVVERO
ALLA COSIDDETTA “FEDE RELIGIOSA OPPOSTA” SENZA ALCUNA DIALETTICA CONCILIATRICE IN QUELLA LINEA PARALLELA
CHE NON POTRÀ GIAMMAI CONFLUIRE CON LEI, LA SEDICENTE “RELIGIONE DELLA LIBERTÀ” ANNUNCIATAMA MAI SPIEGATA!…
NELLO STARE AL GIUDIZIO DI PENSATORI COEVI LAICI QUALI ANTONIO GRAMSCI E PIERO GOBETTI, BENEDETTO CROCE, È IL PIÙ GRANDE MISTIFICATORE
RESPONSABILE DELL’ASSALTO LIBERAL ALLA FEDE E MORALE NATURAL-CRISTIANISSIME NELLA PIÙ SPENSIERATA DEFORMAZIONE IRREPARABILE
DELL’UFFICIALITÀ INTELLETTUALE ITALIANA MASCHERANDOSI DIETRO “IL PERCHÉ NON POSSIAMO NON DIRCI CRISTIANI” [1942] NELL’ESATTO DECENNIO DI DANNAZIONE DELLA SUA “STORIA D’EUROPA NEL SECOLO DECIMONONO”
DA PARTE DEL GIUDIZIO INFALLIBILE SANT’UFFIZIO!
QUEL DANTE CHE FU ISPIRATO DAL VIAGGIO NELL’ALDILÀ DAL MONACO DI MONTECASSINO ALBERICO DA SETTEFRATI PREPOSTO NEL MONASTERO DI SANTA MARIA IN ATINA NELLA TERRA DI LAVORO FELIX! - A parlare – recita Luciano Regolo nel suo “Natuzza Evolo il miracolo di una vita” (Mondadori, Milano 2010) alle pagine 156-157 - attraverso le labbra di Natuzza erano entità di vario genere, defunti cari alla comunità paravatese, ma a volte anche personaggi storici, come Dante Alighieri, che disse di aver dovuto scontare ben “trecento anni di Purgatorio”, per aver giudicato le persone nella “Divina Commedia” in base alle sue simpatie e convinzioni politiche, senza alcuno spirito di carità e amore cristiano; o come Benedetto Croce, che i ragazzi Nicolace riconoscevano per il particolare timbro che assumeva la voce della madre in trance, cavernoso e agitato, da anima in pena, e il suo respiro molto più rapido, rumoroso e affannoso.
Chi poneva le domande a queste entità “illustri” era di solito il medico di famiglia, Francesco Valente. Ma anche Nicola Valente, che descrisse le conversazioni medianiche alle quali aveva assistito nel suo libro, “La radio dell’altro mondo a Paravati”, rivolgeva agli spiriti quesiti complessi e in un linguaggio forbito, ottenendo risposte di analogo spessore. Di tenore scientifico, sulla ricerca chimico-biologica erano per esempio i botta e risposta con l’entità del “medico santo”, Giuseppe Moscati, beatificato da Paolo VI nel 1975 e canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1987.
Giuseppe Moscati, come Santa Teresina del Bambino Gesù, fra l’altro, appariva spesso a Natuzza, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, anche in piena lucidità. La prima volta che si era trovata davanti agli occhi il futuro santo, la Evolo le aveva chiesto: “Professore perché siete così bello?”. E lui le aveva risposto: “Perché sono vicino alla Madonna e perché nella mia vita ho praticato la carità umile e nascosta, che non offendeva nessuno”. Il medico Valente restò esterreffatto quando, un’altra delle trance della Evolo cui assistettero anche Rosa Silipo, Francesco Mesiano e i Laureani, sentì la vocina del piccolo Enzo, il bimbo che aveva perso in tenera età. Il bimbo gli raccomandò di essere più umano e tollerante nel rapporto con i pazienti poiché, pur essendo il medico un uomo estremamente generoso, non di rado si innervosiva. La Silipo raccontò che in quella circostanza il dottore, cedendo all’emozione, “si asciugava le lacrime col fazzoletto e si mordeva le nocche delle dita”.
I colloqui – seguita Luciano Regolo nel suo “Natuzza Evolo il miracolo di una vita” (Mondadori, Milano 2010) alle pagine 157-158 - con i defunti, frequenti digressioni [ovvero argomenti dirompenti di altro genere] della tranquillità familiare di casa Nicolace, terminarono definitivamente nel 1960. Salvatore e i suoi fratelli non dimenticheranno mai quella sera. Racconta il primogenito: “Si presentò l’entità di una santa, mia sorella Anna Maria ricorda che si trattava di Santa Teresa del Bambino Gesù. E iniziò a rimproverarmi: “Tu non vai a messa e marini la scuola”, cosa vera perché spesso me la filavo a giocare a biliardo o a carte. “Ti devi comportare diversamente…” Papà, intervenne: “Fate bene a riprenderlo”. Ma la voce lo ammutolì: “Zitto tu, bestemmiatore!”. Mio padre non disse più una parola, sentendosi in colpa per quelle volte che aveva perso la pazienza.
Poi, parlò Benedetto Croce. L’ultimo messaggio del filosofo, un rimpianto per la sua dannazione, trascritto dai figli di Natuzza, sembra rivolto ai non credenti: “Vorrei tornare sulla Terra, fare tanti sacrifici e penitenze quanti sono i granelli di sabbia in una spiaggia e ottenere così la salvezza eterna. La Madonna mi diede tante volte l’occasione di conquistarla, ma io l’ho sempre rifiutata…”.
QUANTO DIRETTAMENTE CONFESSATO A NATUZZA DA TRAPASSATO E QUANTO RICOSTRUITO RISALENDO LA STESSA PENNA DEL FILOSOFO LIBERALE PRINCEPS UNITARIO RISORGIMENTALE, COMBACIANO ALLA PERFEZIONE QUANTO LA MONETA SPEZZATA SI VEDE RICOMPOSTA NEL SYMBALLO - Avendo ben ruminato intorno alla comparsa di Benedetto Croce dinanzi all’umile donna cristiana nella Sub-Penisola calabrese ho creduto opportuno andare ad extrapolare alcuni passi importanti che commentai nel V volume di “Quando Satana firma la Storia”[Segno, Tavagnacco] nel 2008. Alla pagina 5 dell’autobiografia ovvero nelle “Memorie della mia vita, Appunti che sono stati adoprati e sostituiti dal “Contributo alla critica di me stesso”” [Sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, (Ristampa anastatica del 1966), Napoli 1992], Benedetto Croce scrive: ““Curriculum vitae - Nacqui il 25 febbraio 1866 a Pescasseroli, paesetto della provincia d’Aquila. Mio padre, Pasquale, era di famiglia abruzzese, trapiantatasi a Napoli nella generazione precedente. Mio nonno, Benedetto, era magistrato, e morì in Napoli nel 1852 consigliere della Corte Suprema di Giustizia [fedelissimo ai Borbone]. Mia madre, Luisa Sipari, era di Pescasseroli; e quivi essendosi ritirata col marito nel 1866 durante l’epidemia colerica di Napoli, nacqui io, terzogenito (essendo stato preceduto da un maschio e da una femmina, che morirono bambini). Dopo di me nacquero altri quattro figli, due morti bambini, gli altri due, Alfonso, nato nel 1867, e una sorella, Maria, nata nel 1870.
Quando mi sforzo di raccogliere i miei più lontani ricordi, non trovo se non l’immagine di una nostra villa a Portici [la cui reggia, fino al 1860, fu sede del Governo borbonico], dove trascorsi parecchio tempo della mia fanciullezza; alcuni fatti paurosi della Commune e delle petroghiere del 1871, che sentivo leggere da mio padre sui giornali. La villa fu poi da mio padre venduta alle monache del Sacro Cuore, che vi hanno impiantato un loro educatorio (…)”.
Di Montenerodomo, provincia di Chieti. La famiglia Croce si trova indicata già nel più antico censimento degli Abruzzi del secolo XV come famiglia borghese [ma cattolica, nello stare ai genitori], di Montenerodomo. Vedi un articolo del Faraglia, nella “Rassegna Abruzzese” del 1898, sui Fuochi d’Abruzzo. La parte della famiglia restata in Abruzzo dimora presentemente in Chieti.
Di mio nonno ho dato qualche notizia nel libro su Silvio Spaventa. Anche di nome Benedetto. Ne ho un ritratto ad olio con la data del 1864”.
Benedetto Croce visse more uxorio per tanti anni con la donna romagnola Angelina Zampanelli, la quale, debole di cuore, morì presto. In seguito egli sposò in chiesa la torinese Adele Rossi dal cui matrimonio nacquero cinque figli: quattro femmine ed il maschio che morirà piccolino. I loro nomi sono Elena, Alda, Lidia e Silvia. Croce si innamorò di Adele Rossi, quando, ella scese quale studentessa da Torino per rivolgersi a lui per la tesi di laurea su Vittorio Imbriani. I Croce vivevano nella loro grande casa in Napoli, possedendone altre a Vietri sul Mare, a Pescasseroli, in Piemonte ed estese tenute in Puglia.
IL TERRIFICANTE TERREMOTO DI CASAMICCIOLA DEL 28 LUGLIO 1883: BENEDETTO CROCE FINIRÀ NELLE MANI DEI TEMUTI PARENTI MISCREDENTI SPAVENTA DA PARTE DEGLI ORA DECEDUTI GENITORI – “Una brusca interruzione e un profondo sconvolgimento sofferse la mia vita familiare per il terremoto di Casamicciola del 1883, nel quale perdetti i miei genitori e la mia unica sorella, e rimasi io stesso sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Guarito alla meglio, mi recai insieme con mio fratello a Roma, in casa di Silvio Spaventa, che aveva accettato di diventare nostro tutore: atto del quale solo più tardi potei intendere il valore, perché lo Spaventa, sebbene tutto immerso nella politica, sebbene non fosse stato in relazioni cordiali con mio padre negli ultimi tempi [in quanto miscredente liberale], sentì il dovere di prendere come in protezione i due giovinetti superstiti di una famiglia, presso la quale egli stesso, giovinetto, era stato circondato di cure affettuose.
In Roma, rimasi dapprima quasi trasugnato, in mezzo a una società così diversa da quella che fin allora mi attorniava, in casa di un uomo politico autorevolissimo, tra deputati e professori e giornalisti che la frequentavano, tra dispute dipolitica, di diritto, di scienza, e con le prossime ripercussioni dei dibattiti e dei contrasti del Parlamento (la casa stessa era situata in via della Missione, accanto al palazzo di Montecitorio). Ed io non ero preparato ad accogliere in me quella nuova forma di vita; né la politica di quegli anni (gli anni del Depretis, il 1884 e 1’85), e il sarcasmo ond’era perseguitata e vituperata dallo Spaventa e dai suoi amici e frequentatori, potevano rincorarmi di fiducia ed accendermi d’entusiasmo, e levarmi in qualche modo dall’avvilimento nel quale ero caduto.
Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti PERSINO PENSIERI di SUICIDIO [tipici nei laicisti come nel caso del prete risorgimentale apostata, Roberto Ardigò, suicidi di cui estesamente parliamo nel testo “Halloween”].
Non ebbi amici, non partecipai a svaghi di sorta; non vidi nemmeno una sola volta Roma di sera. Mi recavo all’università per il corso di giurisprudenza, ma senza interessamento, senza essere nemmeno scolaro diligente, senza presentarmi agli esami. Più volentieri mi chiudevo nelle biblioteche, particolarmente nella Casanatense, allora servita ancora da monaci domenicani e coi banchi provvisti di calamai dal grosso stoppaccio, di polverini dalla sabbia dorata e di penne d’oca (…). Nel secondo anno della mia dimora in Roma, mi risolsi ad ascoltare le lezioni di filosofia morale di Antonio Labriola, che già mi era familiare come frequentatore assiduo della casa dello Spaventa, e che grandemente ammiravo nelle conversazioni serali, scoppiettante di brio e di frizzi e riboccante di fresca dottrina. E quelle lezioni vennero incontroinaspettatamente al mio angoscioso bisogno di rifarmi in forma razionale una fede sulla vita e i suoi fini e doveri,
- avendo perso la guida
- della dottrina religiosa
e sentendomi nel tempo stesso insidiato da teorie materialistiche, sensistiche e associazionistiche, circa le quali non mi facevo illusioni, (…) L’etica herbartiana del Labriola valse a restaurare nel mio animo la maestà dell’ideale, del dovere essere contrapposto all’essere e misterioso in quel suo contrapporsi ma per ciò stesso assoluto e intransigente (…) ” (pp. 15-24). Il lettore non si lasci confondere da tali espressioni, che, sembrerebbero le più antirivoluzionarie, situate quasi al confine con quelle cattoliche; alla prova dei fatti il pensiero di Benedetto Croce getta l’ipocrita maschera anglicana e manifesta il suo più inqualificabile volto giacobino.
IL MOMENTO IN CUI IL FIGLIO DEI DEVOTI GENITORI PASQUALE CROCE E LUISA SIPARI PERDE LA FEDE CATTOLICA ABBRACCIANDO QUELLA GNOSTICA CESARISTA RISORGIMENTALE. I LIBRI APOLOGETICI DEI PADRI CHE AVEVANO CONVERTITO PERSINO ERETICI TERRORISTI QUALI JÜRG JENATSCH DEI GRIGIONI IN VALTELLINA! - “Frequentai il corso liceale come alunno esterno delle scuole del collegio; e in quel tempo ebbe inizio la mia crisi religiosa, che tenni accuratamente celata in famiglia, e anche agli amici, come infermità vergognosa [perché, come già visto, si trattava di ambiente cattolico legittimista, non miscredente sabaudo-garibaldesco, di cui, la cosa, sarebbe stata un vanto]. Quella crisi fu provocata non da letture empie, non da insinuazioni maligne, come i devoti sogliono figurarsi e dire, non da parole di filosofi come lo Spaventa, ma dal direttore stesso del collegio, pio sacerdote e dotto teologo, il quale si accinse poco accortamente a somministrare a noi licealisti, per raffermarci nella fede, alcune lezioni di «filosofia» (come le intitolava) «della religione»: lievito gettato nel mio intelletto, sin allora inerte innanzi a quei problemi.
Molta tristezza e vive ansie provai per quel vacillare della fede: cercai, come infermo la medicina, libri di apologetica, che mi lasciarono freddo; qualche balsamo mi venne talora dalle parole di animi sinceramente religiosi, come dalla lettura delle “Mie prigioni” del Pellico [Silvio, cospiratore carbonaro tornato, però, seriamente in seno della Chiesa Cattolica verso gli ultimi anni di vita], le cui pagine talvolta, in certi rapimenti di gioia, baciai per gratitudine; e poi ... Poi mi distrassi, preso dalla vita, senza più interrogarmi se fossi o no credente, continuando anche per abito o per convenienze esteriori [finché l’ambiente fu quello borbonico di Napoli, non l’ambiente massonico di Spaventa a Roma], alcune pratiche religiose; finché, a poco a poco, smisi anche queste, e un giorno mi avvidi,
e dissi chiaro a me stesso, che ero fuori affatto [in tutto
e per tutto, interamente], delle credenze religiose”.
Ora, se l’autobiografia viene intitolata “Contributo alla critica di me stesso” la chiave di lettura della vita e dell’opera di Benedetto Croce non può non essere se non l’espressione: “dissi chiaro a me stesso”.
Qui non si tratta di un povero ignorante in materia di fede e in tutto trasandato che senz’altro pregherà cogli occhi, con una semplice espressione del viso, ascoltando a labbra chiuse qualche altro pregare o facendo un’elemosina applicandola ai propri defunti… ma si tratta della scelta lucida imperturbabile effettuata da chi ha ricevuto consapevolmente l’educazione cattolica dalle labbra e dal buon esempio dei propri genitori, la quale scelta lascia pensare che allorché le labbra iniziavano a recitare l’“Ave Maria” il cuore subito le troncava perché era appunto lì dentro che partiva il rifiuto.
ANCHE NELLA TESTIMONIANZA DI NATUZZA SIA L'ANIMA BEATA DI GIUSEPPE MOSCATI SIA QUELLA OPPOSTA DI BENEDETTO CROCE FANNO RIFERIMENTO A MARIA VERGINE CONFERMANDO LA SUA POTENTISSIMA MATERNITÀ PREMUROSA PER OGNUNO DI NOI - Ciò si evince chiaramente nella lettera a Tommaso Persico quando il trentatreenne Benedetto Croce mostra avversione immedicabile alla cristianissima vittoria di Lepanto ed al Santissimo Rosario. Forse mai il detto di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori “Chi prega si salva, chi non prega si danna” raggiunge una comprensione simile così lucida. Colpisce il fatto narrato da Don Dolindo Ruotolo di cui è venuto a conoscenza il Movimento Neoborbonico, che, quando un’ammiratrice o congiunta di Benedetto Croce si sarebbe recata da Padre Pio subito dopo la morte del filosofo per chiedere di celebrare sante messe in suo suffragio, il frate pietrelcinese avrebbe risposto di non poterle celebrare perché laddove stava non poteva essere aiutato.
Ciò che dissipa ogni dubbio, oltre al rifiuto del sacerdote in punto di morte cui fa riferimento anche Giancarlo Galli, oltre al suo schieramento contro il Trattato-Concordato nel 1929, vi è la lettera dal contenuto sempre anticattolico incontrovertibile scritta a Tommaso Persico il 25 settembre 1899 in cui Benedetto Croce detta al destinatario come fingersi filo-cattolico ma ad un patto, ad una precisa condizione; allo stesso tempo occorre fare anticlericalismo ovvero anticristianesimo così raffinato da colpire a morte il Cattolicesimo senza lasciarsene in alcun modo accorgere.
SI NOTINO SEMPRE I TERMINI “FEDE”, “RELIGIONE”… PER INDICARE IL MALTHUSIANESIMO CLASSICO ALTO-FINANZIARIO GLOBALISTA - La Chiesa Cattolica deve essere spazzata via dalla società per mezzo dell’Istruzione pubblica. Ciò che nel Protestantesimo hanno iniziato a fare i pulpiti per finire colle cattedre, in Italia può farlo solo la Scuola governativa. Ecco ora uno stralcio della lettera crociana summenzionata: “(…) Bene dunque si celebra quest’anno il centenario dei repubblicani del [17]99, ch’ebbero un pensiero ed una fede; e si farebbe molto male a rievocare ora, secondo che tu desidereresti, le memorie di Lepanto, rendendo così un servigio ai clericali;
- giacché io son d’accordo con te
- che bisogna evitare l’anticlericalismo di parata,
- MA ad UN PATTO:
che si faccia, IN CAMBIO dell’anticlericalismo effettivo:
- che cioé
- SI COMBATTA SEMPRE
- contro questo terribile nemico della società moderna,
- contro questo proteiforme alleato di ogni movimento reazionario.
In Italia, il male [leggi esattamente evangelizzazione e salvezza delle anime della Chiesa Cattolica] è ancora latente;
- ma guai a noi
- se quando scoppierà in tutta la sua forza,
- ci troverà infiacchiti od incerti,
ed intenti a commemorare Lepanto ed il Rosario (…)”.
“Lettera inedita di Benedetto Croce per la commemorazione del 1799 e per quella di Gioacchino Murat inviata nel 1899 a TommasoPersico” in “Rivista Abruzzese, Rassegna trimestrale di cultura” [Anno XXII – 1969 – N. 2-3, Lanciano Aprile – Settembre], p. 71. Ricordo al Lettore che per rendere il più scientificamente possibile le citazioni dei testi dei vari riferimenti citati a margine.
PER DIFENDERE LE ANIME DALLA PERDIZIONE
IL SANT’UFFIZIO DEVE CONDANNARE TEMPESTIVAMENTE
L'OPERA DI BENEDETTO CROCE
QUALE PERICOLOSA IN SOMMO GRADO
Papa Pio XI
IN MATERIA DI FEDE E DI MORALE - ”Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato
in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Matteo 18, 15-20).
"ROMA LOCUTA EST, CAUSA FINITA EST" (QUANDO IN MATERIA DI FEDE E DI MORALE LA CATTEDRA IN SAN GIOVANNI IN LATERANO SI É PRONUNCIATA LA CAUSA É CHIUSA - SANT'AGOSTINO) - Andiamo alle pagine 143 – 149 del testo di Guido Verucci “Idealisti all’Indice, Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio” (Editori Giuseppe Laterza & Figli, Bari 2006). “Nello stesso mese di marzo 1932, nel Sant’Uffizio, l’incarico di riferire sul libro [“La Storia d’Europa nel secolo decimonono”] fu affidato a un revisore ecclesiastico, il consultore del Sant’Uffizio padre Marco Sales, dell’ordine dei Predicatori e maestro del Sacro Palazzo; ma il libro fu letto anche dal cardinale olandese Guglielmo Van Rossum, membro della Congregazione.
La relazione di padre Sales, consegnata già nel mese di giugno, esordiva scrivendo che il libro era di una «prolissità noiosa», per «l’astrusità dei concetti» e per «l’oscurità del fraseggiare», sì che «ben pochi [ ... ] avranno la pazienza di leggerlo interamente»; ricordava «che l’autore è un razionalista hegeliano, pel quale il soggetto e l’oggetto, Dio e il mondo, la filosofia e la storia, lo spirito e la libertà formano una cosa sola, e si identificano fra loro» (ovvero il mondo esiste solo in quanto l’uomo lo pensa logicamente, NdA), e perciò riteneva che l’opera, per la notorietà e l’autorità di cui godeva l’autore, POTEVA FARE MOLTO MALE «negli ambienti universitari» e nei «ceti di una certa cultura».
Chiarito come la «religione della libertà» - seguita Guido Verucci - per Croce fosse il prodotto di un lavoro secolare che essa aveva compiuto, comprendendo e assimilando in se stessa tutte le filosofie e tutte le esperienze storiche - e anche il cristianesimo -, in ciò che avevano di ancor vivo, la relazione elencava i giudizi negativi che sulla Chiesa, divenuta a suo dire potenza prevalentemente politica e sul cattolicesimo specie nell’Ottocento, l’autore esprimeva, concludendo che il libro «merita ampiamente di essere inscritto nell’Indice, perché eretico nei suoi fondamenti, ingiurioso ed offensivo alla Chiesa e al papato, e atto a formare nelle persone colte pregiudizi ed errori gravissimi in materia di fede e di costumi». Padre Sales osservava infine che il libro era il venticinquesimo di una serie di libri storici e filosofici dell’autore sui quali non poteva esprimere un giudizio non avendoli letti.
Cardinale Pietro Gasparri
Benedetto Croce fu contro al Trattato/Concordato Stato Italiano/Santa Sede
Nella biblioteca del Sant’Uffizio vi era infatti una serie di piccoli avvisi pubblicitari delle edizioni Laterza riguardanti le opere di Croce e almeno tre elenchi di scritti di Croce. Monsignor [Nicola] Canali, assessore del Sant’Uffizio, ricevendo la relazione scriveva sulla stessa, sottolineando, «con urgenza prima delle altre ponenze»; lo stesso probabilmente scriveva con la matita rossa, in calce: Urge. Più breve era la nota scritta dal cardinale [Guglielmo] Van Rossum, redatta dopo la relazione di Sales. Van Rossum, che dichiarava di aver letto il libro «quasi» interamente, riteneva, singolarmente, non molto pericolosi i primi capitoli, proprio quelli sulla religione della libertà, sulle fedi religiose a essa opposte ecc., perché non sarebbero stati letti per le loro «astruserie».
Lo considerava peraltro - osserva Guido Verucci - anch’egli condannabile e, nel parere definitivo redatto, riscontrando evidentemente le analogie di Croce con Gentile, riteneva utilissimo che il papa [Pio XI] pronunziasse una parola contro la filosofia moderna in genere e i suoi falsi princìpi, e proponeva che fossero esaminate le opere siadi Croce sia di Gentile, per prendere poi una decisione. Ma appare evidente che l’opera circolasse nelle mani di diversi altri ecclesiastici nel Sant’Uffizio, se nel fascicolo è presente un documento manoscritto, senza data né firma, ma probabilmente dell’assessore del Sant’Uffizio, in cui vi era un elenco di altri libri di Croce proposti per la condanna all’Indice dal cardinale Eugenio Pacelli, membro della Congregazione del Sant’Uffizio, che comprendeva le seguenti opere: “Contributo alla critica di me stesso”, Bari, Laterza, “Tre saggi filosofici”, Palermo, Libreria [senza altra indicazione], “Introduzione ad una Storia d’Europa”, Bari, Laterza, “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, Bari, Laterza. Insomma, dalla “Storia d’Europa” di Croce lo sguardo dei revisori ecclesiastici cominciava ad allargarsi ad altri scritti di Croce e a quelli di Gentile.
LE CONCLUSIONI DELLA MEMORABILE RIVISTA DEI GESUITI - Intanto «La Civiltà Cattolica», che a lungo aveva bombardato con i suoi articoli la filosofia di Gentile, pubblicava, mentre era in corso il giudizio del Sant’Uffizio, quattro articoli contro la “Storia d’Europa” di Croce, dall’aprile al luglio 1932, di cui l’ultimo, però, pubblicato quando il giudizio del Sant’Uffizio sull’opera era già stato pronunziato.
Gli articoli sono: “Il «fenomeno» antifilosofico e antireligioso di Benedetto Croce”, 1932, II, pp. 209-223; “Filosofia e «religione della libertà»” di Benedetto Croce, ivi, pp. 521-534, prima parte; “Filosofia e «religione della libertà»” di Benedetto Croce, ivi, III, pp. 105-119, seconda parte; “«Le fedi religiose opposte» al liberalismo” di Benedetto Croce, ivi, pp. 209-224. In un articolo successivo del dicembre 1932, “L’enciclica «Pascendi» e il «Modernismo» dopo venticinque anni”, ivi, IV, pp. 521-536, la rivista collegava il liberalismo dell’epoca con il modernismo e attaccava la deificazione che l’Omodeo [Adolfo], «il pedissequo del Croce», faceva della fede laica di [Alfred] Loisy in un articolo della «Critica».
Nel primo articolo si presentava Croce come «filosofo accanito del liberalismo ed oppositore risentito del susseguente partito (leggi il Fascismo, NdA) e della sua rivoluzione, quasi fosse prole ingrata del vecchio liberalismo». Lo scrittore della rivista dichiarava che questa lo aveva trattato sempre con cortesia e rispetto, non ricambiati, e che s’interveniva in riferimento al libro appena uscito e ai tre capitoli introduttivi pubblicati a parte, «quasi solenne programma di una nuova religione, la religione della libertà», in lotta con le «fedi religiose opposte», ma in primo luogo contro il cattolicesimo della Chiesa di Roma, perché, come diceva Croce stesso, alla concezione del liberalismo per la quale il fine della vita è nella vita stessa, il cattolicesimo oppone che il fine è una vita oltremondana.
WILLEM VAN ROSSUM
CHE DENUNCIÒ LA PERICOLOSITÀ
PER LA SALVEZZA DELL'ANIMA
DELLA STORIA D'EUROPA
NEL XIX SECOLO DI BENEDETTO CROCE
SEMPRE LO SPIRITO ANTI-ITALICO DELL'ELBA DI ARMINIO E MARTIN LUTERO CHE A TUTT'OGGI MINACCIA LO SCISMA - In questi scritti quindi - rileva Guido Verucci - «lo spirito irreligioso e le aberrazioni filosofiche riescono, SENZA CONFRONTO, più perniciose e profonde» che non le lacune e i giudizi, pur gravissimi, sul piano storico. Alla base vi era l’errore fondamentale di confondere la storia con la filosofia, una «filosofia immanentistica e soggettivistica che è la negazione della oggettività storica». La filosofia di Croce nasceva da «fonti teutoniche», cioè hegeliane (cui fin da piccolo venne introdotto dallo zio miscredente e nemico implacabile del Re Cristianissimo di Napoli, Silvio Spaventa, essendo già morto Bertrando, NdA) e aveva generato una «filosofia consimile e forse anche, se è possibile, peggiore della sua», cioè l’attualismo. Questo profondo traviamento, antifilosofico e antireligioso, aveva infettato «tutta una giovane generazione di italiani nell’ordine delle idee», producendo un guasto peggiore di quello, morale e letterario, compiuto da [Gabriele] D’Annunzio.
Nel secondo articolo si rimproverava in particolare a Croce «l’abuso del frasario religioso ( corredato dal proprio nome medesimo, NdA) che pare inventato per celare l’irreligione e l’incredulità», per confondere lo Spirito «con la materia e col mondo materiale»; e si criticava duramente la rappresentazione che Croce dava della Chiesa dell’Ottocento come condannata alla sterilità, sfuggendole ormai il pensiero e la scienza, poiché egli ignorava la sua opera d’insegnamento sulle questioni morali, politiche e sociali, compiuta specie con il papa Leone XIII (e la grande espansione sotto Pio IX, NdA). Nel terzo articolo s’impugnavano idee centrali di Croce come quella per cui l’essenza di ogni religione risiede in una concezione della realtà e in un’etica conforme, anche se atea, e quella che riconosceva nel liberalismo tale concezione della realtà. Si affermava anche che tanti «istituti liberali» vantati da Croce nella sua ricostruzione delle vicende storiche europee dell’Ottocento costituivano la negazione della libertà stessa, come «imolteplici e oppressivi monopoli dello Stato liberale moderno, massime secondo il concetto dello Stato etico [che tutto ciò che riconosce agli altri non è per naturale Diritto ma per sua concessione, NdA)».
Cardinale Ernesto Ruffini
Si trattava, - seguita Guido Verucci - da parte della rivista dei gesuiti, di una presentazione breve ma organica della«filosofia» che sorreggeva la “Storia d’Europa nel Secolo Decimo Nono”, assolutamente condannabile dal punto di vista cattolico, più che di una rassegna degli «errori» (anch’essi gravi, NdA) sul piano storico; una presentazione piùvasta e penetrante di quanto non fosse quella dei revisori del Sant’Uffizio. Era la prima volta che «La Civiltà Cattolica» dava tanto spazio alla filosofia crociana. Nulla di nuovo, naturalmente, in ordine alla radicale contrapposizione fra cattolicesimo e idealismo filosofico, ma uno svelamento definitivo, dopo un periodo di reciproca, implicita, intesa antipositivistica e antimaterialistica e di grandi battaglie anti-attualistiche (leggi antigentiliane, NdA) della «Civiltà Cattolica». E ancora, la sottolineatura, da parte della rivista - qui come altrove, nel corso della battaglia antidealistica -, del motivo tradizionale della polemica ecclesiastica, non solo nel secolo XX, che gli attacchi e gli attentati dell’epoca da parte delle correnti culturali e politiche contro la Chiesa cattolica non erano che la ripetizione di attacchi e attentati analoghi manifestatisi nel passato, e immancabilmente falliti.
Cardinale Donato Sbarretti
All’interno del Sant’Uffizio il giudizio sull’opera di Croce riprendeva il 4 luglio con una riunione della Consulta, cioè dei consultori del tribunale ecclesiastico, presenti il già ricordato padre Sales, l’arcivescovo Giuseppe Pizzardo, padre Guglielmo Arendt, della Compagnia di Gesù, padre Luigi Santoro, dei Frati minori conventuali, padre Filippo Maroto, dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria, padre Lorenzo di san Basilio, dei Carmelitani scalzi, padre Pietro Vidal, della Compagnia di Gesù, monsignor Ernesto Ruffini, monsignor Luigi Hudal, padre Alfonso Gasperini, dell’ordine dei Predicatori, monsignor Giuseppe Latini.
Il verbale della riunione sottolineava che tutti avevano approvato il voto, cioè il giudizio, di padre Sales, e decisoche il libro di Croce «erroneo, anzi eretico nelle sue basi filosofiche, ingiurioso e offensivo alla Chiesa e al Papato, E’ CONDANNABILISSIMO, quindi da inserire nell’Indice dei libri proibiti, secondo la solita procedura». Considerando però che questo libro era il venticinquesimo di «una serie di pubblicazioni di indole predominantemente filosofica»dello stesso autore, e che nessuna di esse era stata ancora condannata, la Consulta si chiedeva se la condanna di uno solo non potesse dare l’impressione che tutti gli altri non condannati non contenessero gravi errori filosofici.
Cardinale Francesco Marchetti
Si proponeva così di condannare pure il presente libro, anche subito, ma di procedere a un esame di tutti gli altri per verificare se ci fossero gli stessi errori storici e filosofici. Di più, poiché si constatava che il sistema filosofico di Croce non si differenziava sostanzialmente da quello di Gentile, cioè «l’idealismo egheliano [sic, aggiunge il Verucci]», si riteneva opportuno che dopo la condanna di Croce si esaminasse almeno qualcuna delle più importanti e delle più recenti opere di Gentile, che passa in Italia come «il corifeo del pensiero filosofico moderno». E si concludeva affermando che «un tale atto presenterebbe la Chiesa come unicamente preoccupata dell’integrità del movimento filosofico cristiano, prescindendo da ogni riferimento politico (in quanto a differenza di Croce, Gentile aveva aderito al Fascismo, NdA)». A parte veniva verbalizzato il giudizio, estremamente duro, che il consultore padre Arendt aveva voluto esprimere, dicendo: « “La Storia d'Europa nel secolo XIX” scritta da Benedetto Croce,
- richiede una condanna specificata,
- perché più che eretica è della MASSIMA EMPIETÀ,
- pervertendo i fondamenti della Fede
- col patrocinare una evoluzione panteistica
- che travolge lo stesso Dio.
- Così essa E’ INGIURIOSA
- alla divinità ed immutabilità del domma rivelato, alla Chiesa, al Papato.
- La gioventù universitaria che s’imbeve di sì fatta dottrina
- PERDE presto ogni fede, ogni moralità
- e DIVENTA VITTIMA del materialismo.
- È sommamente da deplorare
- che si debba[no] tollerare nelle università della Cattolica Italia
- tali focolari di nichilismo».
Cardinale Nicola Canali
Il parere della Consulta, che sarebbe stato confermato dalla Congregazione del Sant’Uffizio, faceva proprio così pienamente il giudizio dei revisori e preparava la decisione ufficiale di allargare la verifica e il giudizio all’intera opera di Croce, e quella di affrontare la verifica anche delle opere di Gentile. Il legame stretto tra le due filosofie era stato formalmente affermato e la necessaria condanna di Croce portava all’esame delle opere di Gentile, in modo che la Chiesa apparisse estranea a ogni preoccupazione politica di voler colpire o l’esponente dell’idealismo liberale ol’esponente dell’attualismo fascista, ma solo interessata a difendere la filosofia cristiana.
Il voto di padre Arendt, - osserva Guido Verucci - in quella sorta di «grido di dolore» (ad litteram) che lo concludeva, esprimeva tutta la delusione del mondo ecclesiastico dopo un Concordato che aveva fatto formalmente dell’Italia (forse ancora gnostica anarchista statuale, non certo di quella reale di sempre, NdA) uno Stato cattolico (nato appunto nel 1860-70 strumentalizzando e tradendo puntualmente e blasfemamente tale religione costituzionale, NdA), ma nelle cui università, oltre che nei licei, i giovani erano «imbevuti» di filosofia idealistica.
Il 13 luglio si riuniva la Congregazione del Sant’Uffizio, composta dai cardinali [Donato] Sbarretti, segretario, [Guglielmo] Van Rossum e [Eugenio] Pacelli già ricordati, e da altri come Pietro Gasparri, Francesco Marchetti Selvaggiani, oltre che dall’assessore Canali, anche se i nomi dei singoli presenti non sono espressamente indicati nel verbale. In questo si diceva che tutti erano stati favorevoli alla condanna della “Storia d’Europa nel secolo decimonono”, ma altresì favorevoli a rinviarne la pubblicazione «post aquas» (ovvero dopo il passa acqua, NdA), cioè dopo le terme o le vacanze estive, e dopo che si fosse fatto l’esame almeno di qualche altra opera dell’autore e delle opere del senatore Gentile.
Uno invece, il cardinale [Eugenio] Pacelli, si era espresso per la condanna dell’opera e per la sua pubblicazione immediata, facendo tuttavia menzione anche di altre opere dell’autore. Il giorno successivo, il 14 luglio, all’udienza ordinaria che il papa dava all’assessore monsignor [Nicola] Canali ogni giovedì, il papa stesso [Pio XI], preso atto del voto unanime dei membri della Congregazione, dispose tuttavia, in difformità dalla Congregazione, che si pubblicasse subito la condanna, «nulla ultra interiecta mora», cioè «senza più indugio» (perché ci si preoccupava della salvezza delle anime in pericolo al solo leggerla, NdA), con la clausola da lui stesso indicata, cioè che dalla condanna particolare di quest’opera non si dovesse arguire (ovvero dedurre nelle prove rapidamente raccolte e perciò incomplete, NdA) che non fossero meritevoli di censura le altre opere di Croce, sulle quali il Sant’Uffizio si riservava di dare il proprio giudizio.
Il papa - asserisce Guido Verucci - dispose anche che il Sant’Uffizio provvedesse per l’esame delle altre opere di Croce, e specialmente di quelle quattro, già ricordate, che erano state indicate dal cardinale Pacelli, e in più «qualche altra opera filosofica». Infine dispose che si provvedesse anche all’esame almeno delle principali opere di Gentile. Così ordinando il papa teneva conto in modo particolare del parere del cardinale Pacelli [futuro Pio XII, per questo tanto attaccato dai cosiddetti progressisti appunto crociani, NdA) e riteneva la condanna della “Storia d’Europa nel secolo decimonono” urgente. Il decreto di condanna, che porta la data del 13 luglio, giorno della delibera della Congregazione, fu redatto il 15 luglio e pubblicato sull’«Osservatore romano» del 16 luglio [1932]. Della condanna dette notizia anche « La Civiltà Cattolica » del luglio nella “Cronaca contemporanea”, 1932, III, p. 289.
Ecco il decreto:
Suprema Sacra Congregatio Sancti Officii. Decretum. Damnatur opus Benedicti Croce. Feria IV, die 13 Julii 1932. In generali consessu Supremae Sacrae Congregationis Sancti Officii Em.mi ac Rev.mi Domini Cardinales rebus fidei ac morum tutandis praepositi, praehabito RR. DD. Consultorum voto, damnarunt atque in Indicem librorum prohibitorum, nulla ultra interiecta mora, inserendum mandarunt opus quod inscribitur: ‘Benedetto Croce. Storia d’Europa nel secolo decimonono, Bari, Laterza, 1932’; quin ex peculiari huius operis damnatione argui debeat cetera eiusdem Auctoris opera, super quibus Sacra Congregatio iudicium sibi reservat, non esse censura digna. Et seguenti Feria V, die 14 eiusdem mensis et anni, SS.mus D.N.D. Pius Divina Providentia Pp. XI, in solita audientia R.P.D. Adsessori Sancti Officii impertita, relatam Sibi Eminentissimorum Patrum resolutionem approbavit, confirmavit et publicandam iussit.
Datum Romae, ex Aedibus Sancti Officii, die 15 Julii 1932. Angelus Subrizi Supr. S. Congr. S. Officii Not.
Ne diamo la versione italiana: “Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio. Decreto. Si condanna l’opera di Benedetto Croce. [Seduta?] Feria IV, giorno 13 luglio 1932. nel generale consenso della Suprema Sacra Congregazione del Santo Uffizio gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali preposti alla tutela delle questioni di fede e di costume, avuto il voto [in precedenza] dei Reverendi Signori Consultori, hanno condannato e hanno ordinato di inserire nell’“Indice dei Libri proibiti”, senza interporre oltre alcun indugio l’opera che s’intitola: “Benedetto Croce, “Storia d’Europa nel secolo decimonono”, Bari, Laterza, 1932”; dunque dalla peculiare condanna di questa opera si debba arguire che gli altri scritti dello stesso Autore, sui quali la Sacra Congregazione si riserva un giudizio, non siano degni di censura. E nella seguente quinta Feria [Seduta?], il 14 dello stesso mese e anno, il Santissimo D. N. D. Pio XI per Divina Provvidenza, nella solita udienza affidata al Reverendo Padre Signor Assessore del Sant’Uffizio, approvava la risoluzione consegnataGli dagli Eminentissimi Padri e la ratificava ordinando che fosse pubblicata.
Redatto a Roma dalle Sedi del Sant’Uffizio, il 15 luglio 1932. Angelo Subrizi Notaio della Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio”.
PROTERVIA IMMEDICABILE SENZA PIÚ CONFINI CONTRO IL DOVEROSO GIUDIZIO DELLA MESCHINAMENTE ASSALTATA SANTA MADRE CHIESA - “Fra i primi ad avere la notizia – seguita l’Autore - fu Giovanni Laterza, che la comunicò alla figlia di Croce Elena lo stesso giorno, e che scrisse al filosofo due giorni dopo una nobile e orgogliosa lettera. (…) Le due lettere - leggiamo in Nota - sono in AL, “Corrispondenza B. Croce-C. Laterza”. Quella dell’editore a Croce del 18 luglio così diceva: «Appresi la notizia che la Sua “Storia d’Europa” è stata messa all’Indice dalla Congregazione del Santo Uffizio sabato mattina alle sei [ ... ] e fu per me come una qualsiasi notizia di cronaca, alla quale non avrei ripensato se non me ne dessero occasione la gente che viene a congratularsi ed un certo risveglio nelle richieste del libro. Ella dice bene che il caso mi sarebbe già accaduto se Dante e Machiavelli mi avessero scelto a loro editore, ma devo però assicurarla che non ho dato importanza, eppoi, dovendo io essere editore anche dei su lodati Signori, per circostanze di fatto a cui Ella mi ha indotto, per molte ragioni di non disprezzabile importanza, il mio maggiore orgoglio, intanto, è di essere l’editore di Benedetto Croce!».
LA CHIESA CATTOLICA NON PUÓ RENDERE CONTO DELLE MEMORABILI SUE GARANZIE PROCESSUALI CHE BRILLANO TRA GLI ORRORI GNOSTICI PROTESTANTI DEL XVI-XVII SECOLO!...
Noi abbiamo studiato nei libri precedenti di “Quando Satana firma la Storia” gli insulti e le bestemmie lanciate per ben otto anni dallo stregone Giordano Bruno alla Chiesa Cattolica e a chi la rappresenta, fino al momento del supplizio, in cui, fatto tacere con la mordacchia alla bocca, nella speranza che morisse pentito, venivano recitate le Litanie dei Santi, ma nel morire sul rogo, egli fissò il Santissimo Crocifisso con odio e girò il volto altrove condisprezzo.
Il lettore osservi la posizione MERAMENTE gnostica di Benedetto Croce; se Giordano Bruno fa parte dell’unica sola divina umanità eretica e scismatica che è al di sopra di ogni legge, ne deriva la conclusione, che, con quale autorità, la Chiesa Cattolica fatta di principi, di lazzari, di paesani e di preti, lei, “spazzatura” della società, ha processato e condannato Giordano Bruno, sacerdote, sì, ma appena divenuto apostata e impenitente uscito ipso facto dalla “pattumiera” di Roma! Se è lecito alla Sètta massonica uccidere sommariamente il traditore vero o presunto delsegreto settario, non potrà mai esserlo per i feroci dissidenti da Chiesa e Stato cattolici, semplicemente, perché, nelmomento stesso in cui tradiscono, divengono INTOCCABILE umanità gnostica divina malthusiana.
É il motivo per cui, Benedetto Croce, non riconoscerà mai la memoria storica alle vittime seminate nella Chiesa Cattolica dalla Riforma-Rivoluzione, perché, se tali massacri vennero deliberati dall’Olimpo malthusiano giacobino (liberale), quale “spazzatura” potrà mai sindacare la volontà dei nuovi dèi che secondo la sua legge al di sopra di ogni legge la mise fuori dal suo ordine divino?!... Ora, se i giornali cattolici, “Osservatore Romano” in testa, si appellano al Diritto penale dello Stato cattolico di allora, il Malthusianesimo RAPPRESENTA appunto in carne ed ossa, L’OSTINATA NEGAZIONE gnostica di TALE APPELLO GIURIDICO. In definitiva esorcizzare il demonio negli ossessi o parlare di Diritto delle Genti con gli gnostici (la ‘razza sabauda’ di cui parla Pietro Gobetti, NdA), significa affrontare lo stesso dramma. Andiamo così ricostruendo pazientemente ogni passaggio filosofico per condurre il blocco intellettuale nell’orribile POSTULATO che contempla il Cristianesimo autentico SOLO INROTTURA con la Gerarchia ecclesiastica.
“INSULTI A GIORDANO BRUNO” GIAMMAI INSULTI AUTENTICI DI GIORDANO BRUNO! - “Giordano Bruno, - scrive Benedetto Croce alle pagine 242-43 in “Pagine sparse, Postille – Osservazioni su libri nuovi”(Giuseppe Laterza e Figli, Bari 1960) - quando gli fu letta la sentenza del Sant’Ufficio, disse ai giudici: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam”. E vide e disse giusto,
- e l’oscuro rimordimento
- e la paura
- onde nei secoli
- la Chiesa di Roma
- è presa al ricordo sempre presente di lui,
sono comprovati non solo e non tanto da qualche fatuo tentativo, che pur si fece, di dimostrare che il rogo del Bruno fu una « leggenda tragica », quanto dalle calunnie e dalle contumelie che, come chi si sente in colpa e vuole violentemente scuotere dal suo dosso il peso della colpa, la Chiesa di Roma non cessa di versare sulla persona di un uomo da essa per otto anni tenuto nelle sue carceri e in ultimo atrocemente fatto bruciare vivo in una pubblica piazza: - di un uomo dal genio filosofico che seppe sostenere povertà e lungo travaglioso esilio (come lo zio Silvio Spaventa di chi sta mistificando, NdA) per dar forma al suo mondo ideale (scismatico gnostico anti-popolazioni in tutto pre-malthusiano, NdA) che rifiutò di smentire se stesso e preferì la morte e morì imperterrito (come muoiono, piamente, però, giammai bestemmiando, impererriti, i lazzari, i paesani e gli ecclesiastici in massa sterminati dal Giacobinismo, NdA), e che perciò la coscienza della umanità (gnostica, anglicana, orangista, ugonotta, malthusiana, NdA) onora e onorerà sempre, celebrandolo eroe. Si veda il rinnovato getto delle contumelie (offese, NdA) nell’introduzione posta al sommario del processo del Bruno edito testé (Città del Vaticano, 1942), e, assai peggio, in un articolo dell’ “Osservatore romano” (n. del 20 giugno).
PER UN ARCHIVISTA E STUDIOSO COME LUI
LE CALUNNIE GRATUITE ALLA SANTA INQUISIZIONE SONO CONSAPEVOLI:
COME POTRÀ GIAMMAI REGGERE IL CONFRONTO TRA IL SACERDOTE
CATTOLICO INGLESE REO SOLO PER TALE FEDELTÀ ALLA MILLENARIA RELIGIONE
DELLA SUA NAZIONE GIUDICATO REO DI MORTE SENZA APPELLO
E IMPICCATO E SBUDELLATO IN APPENA TRE GIORNI
IN DECINE E DECINE DI ESECUZIONI SOMMARIE DI FRONTE
AD UN SACERDOTE APOSTATA STREGONE REO CONFESSO
CHE PUR DI SALVARLO LA SANTA MADRE CHIESA
LO BLINDA DI GARANZIE PROCESSUALI PER BEN SETTE ANNI
DI PAZIENTE SOPPORTAZIONE AGLI INSULTI
DA PARTE DI UN SAN ROBERTO BELLARMINO!...
LO GNOSTICO BENEDETTO CROCE CHE NEGA UMANITÀ E MEMORIA STORICA AI LAZZARI, AI PAESANI E AI SACERDOTI STERMINATI SOMMARIAMENTE DAL GIACOBINISMO IN FRANCIA E RESTO D’EUROPA, LE RIVENDICA – GUARDA CASO – NELL’ESECUZIONE GIURIDICA DI UN NOTO CRIMINALE! - Non è il caso di ribattere e confutare (troppo comodo!, NdA); troppo facile sarebbe dimostrare la rozzezza dei sentimenti che in quelle scritture si esprimono, e la inintelligenza dei giudizi, e troppo ingenuo il proposito di indurre a vergognarsi chi di proposito indurisce il volto; e poi, innanzi a questo spettacolo del CARNEFICE (o, che è lo stesso, dei rappresentanti ed epigoni [discepoli, di solito inferiori e decadenti, senza né capacità creativa né personalità, NdA] del carnefice),
- che, NON RICORDEVOLE
- della COMUNE UMANITÁ (no! perché l’una è gnostica, l’altra è cristiana, NdA),
- insulta colui che ha messo a morte,
- il ribrezzo prevale.
L’ “UMANITÁ” GNOSTICA GIACOBINA DETTA LEGGE MORALE ALLA CHIESA DI ROMA! - Quando un aiutante del boia di Parigi osò simile cosa sulla morta spoglia di Carlotta Corday, i giacobini, i fanatici stessi del Marat (si era nel più forte del Terrore), levarono unanimi un grido d’indignazione contro questo «outrage fait à lanature», contro questa « infamie », e fecero mettere ai ferri lo sciagurato. D’altronde, Roma italiana compié il suo dovere civile (a norma della legalità gnostica malthusiana, NdA), erigendo in Campo di Fiori il monumento al grande italiano e curando, su proposta di Francesco de Sanctis, a spese dello Stato (gnostico liberale, NdA), l’edizione nazionale delle opere di lui.
Ma la Chiesa di Roma, invece, ha voluto coprir di tenebre una parte cospicua della propria azione secolare, mandando al macero tutti i processi del Sant’Uffìcio (che stavano magnificamente protetti in Roma finché il massone Napoleone non li trasportò a Parigi, NdA) per non fare la spesa (tale il pretesto che si addusse) di ritrasportarli in Italia, donde i ben più colti e intelligenti commissari francesi (giammai i saccheggiatori d’Europa tutta, NdA) li avevano provvidenzialmente asportati: il che ora (a consolazione di tutti noi altri ricercatori storici) finalmente ei si narra, con aggiunta di qualche particolare macabro, come quello che ingente dovette essere la strage dei documenti se dal macero si ricavò la somma di ben 4200 franchi!”.
Per le vicissitudini dei processi a Bruno e Campanella rimando il lettore al I libro, mentre, per il giudizio dato dai sommi storici laici sulla condanna penale inevitabile al terrorista, stregone, bestemmiatore scurrile e impentitente Giordano Bruno, rimando il lettore all’opera di Matteo D’Amico e di Luigi Firpo citata nel IV libro. Strano che Benedetto Croce taccia – tra le tante – l’orribile distruzione non tanto misteriosamente mirata dell’Archivio di Stato di Napoli per bombe malthusiane incendiarie il 4 agosto 1943! E’ la parte moderna, che, tra le tante, conteneva le migliaia e migliaia dei preziosi Statuti feudali aragonesi, asburgici e borbonici riguardanti ogni angolo del Regno e andati letteralmente distrutti.
IL VERO VOLTO DI GIORDANO BRUNO REALE,
NON PIU’ AFFATTO DEL MITO
“Scomunicato dalla Chiesa cattolica - recita Francesco Agnoli alle pagine 23-25 del suo “Controriforme, Antidoti al pensiero scientista e nichilista” ( “Fede & Cultura”, Verona 2006) - e dai calvinisti di Ginevra, cacciato da Oxford e da Londra, Giordano Bruno, nel 1586, dopo l’ennesima disputa finita in rissa, deve abbandonare precipitosamente anche Parigi, perché neppure il vecchio amico Enrico III è più intenzionato ad accoglierlo. La destinazione, questa volta, è la Germania, e in particolare la città protestante di Marburgo. Ancora una volta il filosofo di Nola ottiene, dietro pressanti richieste, una cattedra universitaria, ma, detto fatto, entra in conflitto col rettore, Petrus Nigidius, che lo aveva assunto e che ora lo licenzia. Con la grinta di sempre Bruno riparte, per approdare a Wittenberg, città simbolo del luteranesimo, dove, per cambiare, ottiene il diritto di tenere corsi universitari.
E’ qui che Bruno cambia ancora casacca: in occasione del discorso di addio, dopo soli due anni di permanenza, polemiche, e tanti nemici, 1’8 marzo 1588 tiene davanti ai professori e agli alunni dell’Università un elogio smaccato della figura di Lutero, contrapposta a quella del papa, presentato, secondo le migliori tradizioni del luogo, come un vero anticristo. “Come ha usato Calvino contro la Chiesa, così adesso usa Lutero: il cattolicesimo emerge come il vero grande nemico” (Matteo D’Amico, “Giordano Bruno”, Piemme, Casale Monferrato 2000).
Chiaramente IL GIOCO PUO’ RIUSCIRE sperando che a Wittenberg non si conosca il libello bruniano di soli quattro anni prima, e cioè Lo “Spaccio [della bestia trionfante]”. In esso infatti Bruno auspicava che Lutero e i suoi seguaci fossero “sterminati ed eliminati dalla faccia della terra come locuste, zizzanie, serpenti velenosi”, essendo causa di guerre, disordini e discordie senza fine. Inoltre, tanto per toccare con mano la “scientificità” del personaggio, Bruno spiegava la metempsicosi, affermando che coloro i quali abbiano“viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini...”, “sono stati o sono per essere porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano”!
Lasciata Wittemberg, Bruno approda a Praga, la città prediletta dall’imperatore Rodolfo II, che ne sta facendo una centrale di maghi, alchimisti ed occultisti da tutta Europa. Rodolfo è un tipo bizzarro, preda, spesso di allucinazioni e di crisi depressive. Ancora una volta Bruno cerca il potere, aspira a coniugare le arti magiche, di cui si ritiene in possesso, con alleanze potenti e concrete. C’è ormai in lui il desiderio di non rimanere un teorico, ma di passare all’azione, di essere ispiratore di un rinnovamento del mondo, di una palingenesi, che i segni dei tempi gli dicono vicina, e che lui vuole guidare, con compiti e ruoli non secondari. Ma vuoi per il suo caratteraccio, vuoi perché le vantate arti magiche in suo possesso non danno i frutti sperati e promessi, anche Praga viene presto abbandonata per la città protestante di Helmstadt, nel 1589. Chiaramente Bruno, brigando a suo modo, ottiene di poter insegnare nell’università locale, e per l’ennesima volta, pur fingendosi protestante e scagliandosi contro la Chiesa cattolica, suo bersaglio preferito, viene in breve scomunicato dal pastore della locale chiesa luterana!
Ciò nonostante neppure in questa occasione gli viene a mancare quella disponibilità di denari “che gli permette di fare lunghi viaggi, di affittare appartamenti, di tenere a suo servizio, regolarmente, segretari diversi, di pubblicare opere voluminose, di vivere infine per lunghi periodi senza alcun lavoro fisso”: denari, ipotizza il D’Amico, che potrebbero giungere da quell’attività così redditizia di informatore segreto che aveva appreso a Londra. Nel 1590 Bruno è a Francoforte, senza grande entusiasmo dei suoi allievi, che non riescono a comprendere quanto la miracolosa mnemotecnica bruniana sia da lui mal insegnata, o mal conosciuta. Dopo Francoforte, Zurigo, Padova, ed infine, nel 1591, Venezia.
Nella città veneta è accolto con curiosità da una cerchia di nobili da salotto, ed in particolare da Giovanni Mocenigo, che è disposto ad ospitarlo e nutrirlo in cambio dei suoi “segreti”. Ma Bruno non è certo incline a fare il precettore privato: il suo desiderio sembra essere quello di usare le sue conoscenze magiche, espresse nei testi “De magia” e “De Vinculis”, per assoggettare nientemeno che il pontefice Gregorio XIV ai suoi disegni di riforma religiosa e politica universale! Ritiene infatti di saper controllare e dominare le forze demoniche presenti nella natura e di poter soggiogare il prossimo con messaggi subliminali, formule magiche non percepibili dagli incantati: “ritmi e canti che racchiudono efficacia grandissima, vincoli magici che si realizzano con un sussurro segreto...” (“De Vinculis”).
A Venezia Bruno concepisce dunque il suo folle disegno di “portare cambiamenti (politici) significativi, quantomeno nello scacchiere italiano”. A tal fine progetta di rientrare nella Chiesa, di recarsi a Roma dal pontefice Clemente VIII, per dedicargliun’opera, e, come si diceva, probabilmente, per riuscire a condizionarlo tramite le arti magiche. Non c’è grande nobiltà nei mezzucci con cui, contraddicendo patentemente il suo credo, persegue i propri fini! Ma nello stesso 1591, cioè non appena si è fatto un po’ conoscere, viene denunciato al Santo Uffizio dal suo stesso ospite: al Mocenigo è bastato un attimo per rimanere deluso dagli insegnamenti di Bruno, e scandalizzato dalle sue bestemmie. Dopo i sogni di potenza, il filosofo nolano precipita dietro il banco degli imputati: in realtà è già abituato ai processi, alle abiure, alle fughe, e forse pensa, in cuor suo, di farla nuovamente franca.
(…) morirà alla fine, con dignità (per la mordacchia alla bocca in seguito alle sue orribili bestemmie e per lo sguardo d’odio rivolto al Crocifisso?!, NdA): ma dopo essere stato scacciato da almeno dieci città diverse, condannato da cattolici, calvinisti, protestanti e professori universitari; dopo essere stato spia, aver violato il segreto confessionale (riferendo probabilmente ai servizi segreti ceciliani di Elisabetta I, i cattolici inglesi che nell’ambasciata francese si recavano segretamente in direzione spirituale da lui; il che equivaleva a orribili torture, confische di beni e anche morte, NdA), aver ripudiato se stesso, per convenienza, innumerevoli volte, e, infine, dopo aver cercato, attraverso la magia e l’intrigo, di rovesciare l’ordine politico, non solo quello religioso, del suo tempo.
(…) I miei tre brevi articoli su Giordano Bruno – seguita Francesco Agnoli alle pagine 28-32 del suo “Controriforme, Antidoti al pensiero scientista e nichilista” - (la sua vita a puntate) hanno scatenato le ire di Giulio Giorello e di Nuccio Ordine, sul “Corriere della Sera” del 30 agosto e del 1 settembre. Il Giorello, per la verità, si è limitato alle invettive contro i cattolici in genere, di ogni secolo e luogo, per poi riferirsi alle mie osservazioni, definendole assai astrattamente “pettegolezzi da filosofia vista dal buco della serratura”. Poiché l’argomento mi sembra immaginifico, ma deboluccio e sbrigativo, mi permetto di saltarlo a pié pari, per considerare invece le argomentazioni del professor Nuccio Ordine. Costui, forse ritenendo di essere l’unico in Italia ad aver proseguito gli studi oltre le elementari, si è anzitutto offeso del fatto che qualcuno abbia parlato di Giordano Bruno, senza il suo permesso: per lui è automatico che io non abbia letto le opere del filosofo, ma solo “due o tre cattivi libri”, forse degni di censura ecclesiastica (gnostica, NdA) nucciana (per quanto scritti da insigni studiosi, di cui, almeno la Yates, assai celebre a livello internazionale).
Non interessa nulla che io abbia citato negli articoli in questione, seppur brevemente per mancanza di spazio, opere scottanti e inequivocabili di Bruno come il “De Magia”, il “De Vinculis” e “Lo Spaccio”! Ma la cosa più interessante è che il professor Ordine non contesta seriamente una sola delle mie affermazioni storiche. Rimane vero dunque che Bruno fu accusato di plagio a Oxford, scomunicato dai calvinisti e più volte dai protestanti; che abiurò in parecchie occasioni, rinnegando alcune sue opere, che si considerava il più grande sapiente esistente al mondo, che dovette scappare di città in città, non per sua scelta, ma perché sempre e dovunque indesiderato e mal sopportato (da Ginevra, da Parigi, da Oxford, Marburgo, Wittemberg, Helmstadt, Francoforte...). Sembra appurato, inoltre, che indossò e dismise l’abito domenicano più volte, allontanandosi dalla Chiesa, per poi riavvicinarsi, in qualche maniera, in più occasioni... Solo, secondo [Nuccio] Ordine, non lo avrebbe fatto con opportunismo, ma con grande coraggio e rigore morale: un “libero pensatore”, libero di vagare nel mare delle idee cangianti...
Nell’articolo del 30 agosto, per la verità, si mette anche in dubbio la tesi del Bossy, - rileva Francesco Agnoli - da me riportata come attendibile, non come certa, sull’opera di Bruno come spia in quel di Londra. Niente di sostanziale, insomma. Il 1 settembre, invece, il professor Ordine fa le pulci al libro di Anna Foa, in maniera un po’ accademica, sistemando più che altro alcune date. Al sottoscritto, - seguita Francesco Agnoli - forse perché indegno, sono riservate solo battutine, ma neppure una sola confutazione circostanziata: si parla di “crociata di Francesco Agnoli” che “propina invettive ai lettori del “Foglio” ”. Un po’ di parole, insomma, che dovrebbero da sole, col loro suono e la loro evocatività, screditare l’idiota. Mi spiace: penso si potrebbe discutere in altro modo, con altro rispetto, almeno per i fatti, e con altro amore per la verità e l’educazione (come invece è accaduto col senatore Contestabile, su “Il Foglio”).
Mi permetto però di tornare su Bruno, per ribadire non solo che non fu un eroe puro, coerente e senza macchia, come già detto, ma soprattutto che non fu assolutamente uno scienziato moderno: su questo mi trovo in accordo con personaggi come Giovanni Reale, Dario Antiseri, Paolo Rossi, Cecilia Gatto Trocchi, A. Koyré e molti altri. Proprio il Koyré infatti, nel suo celebre “Dal mondo chiuso all’infinito universo”, afferma: “la concezione bruniana del mondo è vitalistica e magica: i suoi pianeti sono esseri animati in libero movimento attraverso lo spazio secondo una reciproca intesa come quelli di Platone o del Patrizi. Bruno non è assolutamente un pensatore moderno”.
Il concetto è semplicissimo: per Bruno “natura est deus in rebus”, o, con altre parole, “Iddio tutto è in tutte le cose”, come avevano ben capito gli Egizi, che adoravano il sole, la luna, ma anche i coccodrilli, le lucertole, i serpenti e le cipolle... (“Lo Spaccio”). Da una simile concezione, - asserisce Francesco Agnoli nel suo “Controriforme, Antidoti al pensiero scientista e nichilista” - antica quanto la magia e l’animismo, nuova in nulla, scientifica ancor meno, scaturisce l’antichissima idea, presente anche nel “Timeo” platonico, dei pianeti e degli astri non come entità materiali, regolate e mosse secondo leggi fisiche, ma come “dei visibili”, “grandi animali”, “dei figli di dei”. Così la teoria di Copernico, “aurora” che ha aperto la strada a lui stesso, “sole de l’antiqua vera filosofia” (“Cena delle ceneri”), interessa al Nolano, unico a suo dire ad averla veramente compresa, solo perché gli permette di scorgere, nella Terra che si muove, un principio vitale, un’“anima propria” mossa da una vita divina, in perfetta coerenza con le dottrine astrologiche.
Cosa vi è di scientifico, di moderno, nel credere a stelle e a pianeti animati e divini, capaci di conseguenza, evidentemente, di agire sull’arbitrio umano? Esattamente nulla. Bruno non avanza, ma retrocede terribilmente. Retrocede rispetto a Copernico, che aveva parlato di “macchina del mondo”, per eliminare, come scrive il Koyré nell’ introduzione al “De revolutione orbium caelestium”(Einaudi), l’“astro-biologia degli antichi”. Retrocede anche rispetto alla scuola francescana di Oxford, che secoli prima aveva iniziato a proporre, con Giovanni Buridano, l’innovativa dottrina dell’“impetus”, come possibile spiegazione della meccanica dei corpi celesti.
Buridano, infatti, confutando l’insegnamento aristotelico e arabo al riguardo, aveva sostenuto che l’ininterrotto movimento delle sfere celesti non era dovuto a delle anime, e neppure alle intelligenze motrici, bensì ad una forza, un’impetus iniziale, il cui permanente effetto era permesso dalla mancanza di resistenza del mezzo. Si era in qualche modo già vicini all’idea di forza fisica, di forza d’inerzia, capace di muovere i pianeti: per questo il Duhem riconduce “alla teorizzazione buridaniana dell’impetus la data d’inizio della scienza moderna, perché comportò l’abbandono della credenza nella natura divina delle potenze motrici dei cieli” (inutili, se esiste un Dio creatore). Analogamente lo Jammer, sempre a proposito dell’origine della scienza moderna, sottolinea l’importanza di Buridano, come “uno dei primi a ribellarsi alla concezione neoplatonica delle forze intese come enti divini” (mentre Newton sarebbe “colui che diede il colpo di grazia alla teoria delle forze astrologiche”; (Introduzione a Giovanni Buridano, “Il cielo e il mondo”, Rusconi).
Anche le ricerche di Keplero si sarebbero mosse nella stessa direzione, per rinnegare l’idea di un modo animato, magico, “grande animale”, caratterizzato da pianeti divini: tutte teorie, ripeto, proprie del modo pagano e della magia rinascimentale, incompatibili con un approccio scientifico e matematico”. Incompatibili con la stessa Sacra Scrittura; quando infatti l’agiografo scrive che Dio creò i grandi luminari per illuminare la terra, il maggiore per il giorno e quello inferiore per la notte, altro non fa che ridurre i due astri deificati dal Paganesimo a semplici oggetti in funzione della terra. La paternità della scienza empirica è dunque biblica. Seguita l’Autore: “Nel 1605, confutando implicitamente Bruno, morto da soli 5 anni, Keplero scriverà a Herwart von Hohenberg: “Sono molto occupato nello studio delle cause fisiche.
Il mio scopo è dimostrare che la macchina celeste può essere paragonata non ad un organismo divino ma piuttosto ad un meccanismo d’orologeria... in quanto quasi tutti i suoi molteplici movimenti si compiono grazie a una sola forza magnetica, molto semplice, come nell’orologio tutti i moti (sono causati) da un semplice peso. Inoltre io dimostro come questa concezione fisica vada presentata per mezzo del calcolo e della geometria”. “Macchina”, “meccanismo”, non “organismo divino” né “grande animale”: quanto dista, - conclude Francesco Agnoli - da questo modo scientifico di vedere l’universo materiale, il vitalismo pampsichista e magico di Bruno?”. Quando vedremo tra i tanti i monumenti massonici di Parigi e Washington che ruotano intorno al tramonto del sole e alla stella Sirio si può asserire veramente che il facoltoso Giordano Bruno è uno dei padri autentici dei liberi pensatori!
POCHI SANNO DEL SACERDOTE CATTOLICO
TUTT’ALTRO CHE INDIFFERENTE
CHE BENEDETTO CROCE
EBBE A SUA TOTALE DISPOSIZIONE
PER POTERSI RICONCILIARE CON LA CHIESA CATTOLICA
PADRE VINCENZO CILENTO
CONSERVÒ SEMPRE LA SUA CARATTERISTICA
DI PRETE E LA INTERPRETÒ COME PRIMO
SUO COMPITO E SUA PRIMA MISSIONE:
ANCHE SE IL SUO ANTICO PROFESSORE NON SI CONVERTÌ CELEBRÒ
LA SANTA MESSA IN SUO SUFFRAGIO AL PALAZZO A FILOMARINO
Padre Vincenzo Cilento
COME IL GARIBALDI, ANCHE BENEDETTO CROCE PONE PER ISCRITTO IL RIFIUTO DEL SACERDOTE CATTOLICO IN PUNTO DI MORTE: CIÓ CHE DEFINISCE FORTUNA IN VITA DINANZI ALL’ARROGANZA MASSONICA, A FUTURA MEMORIA LO DEFINIRÀ DISGRAZIA IRREPARABILE IN MORTE DINANZI AD UNA DI QUELLE DONNE CHE GIAMMAI CONSIDERAVA! - Andiamo ai “Taccuini di lavoro”, VI, 1946-1949 [e 1950?] (Arte Tipografica, Napoli 1987), pp. 284-85. 3LUGLIO 1950 - Vero è che tutte le precauzioni che noi prendiamo non ci possono garentire di conservare sempre nella stessa misura valida la nostra forza intellettuale, ma in questa parte l’affetto di chi ci è d’intorno può prestare quella garanzia.
Padre Riccardo Lombardi
il microfono di Dio
Ed io per fortuna ho una moglie che è sinceramente cattolica e che quando la sposai vidi nell’ammirazione e nella stima dei sacerdoti piemontesi (di rivoluzionaria memoria!, NdA) che a lei si rivolgevano come a « pia damigella ». Orbene, appunto per questo, mia moglie SA che cosa orrenda sia profittare delle infermità per strappare a un uomo una parola che sano egli non avrebbe mai detta; E SA (sempre da autentica cattolica?, NdA) che ci sono rapporti diretti tra l’uomo e Dio.
Quando io ebbi quel colpo imprevisto, immediamente un prete che passa per grande oratore sacro nelle Chiese di Napoli avvistò l’occasione che gli veniva incontro per redimere un peccatore, che avea fama di fìlosofo, e si avviò alla mia casa. Qui chiese senz’altro di parlare con mia moglie, e poiché gli fu risposto che mia moglie era assai preoccupata e affaticata, insistette dicendo: - “Ma io sono il padre [Riccardo] Lombardi”. –
- Non poté apprestarsi al mio letto e fu fortuna.
- perché DIO SA (ossia senz’altro il Dio gnostico dell’onorevole William Ewart Gladstone, NdA)
- che cosa sarebbe stato capace di inventare per zelo del mestiere.
Ne dié un saggio in quel tanto che sparse poi su tutti i giornali, inventando che io mi fossi per il passato dichiaratopronto a vederlo, purché tra di noi non si fosse parlato di religione: il che era ASSURDO, perché tanto sarebbe valso rispondergli che non avevo niente da dirgli; e in secondo luogo che io avevo dichiarato superbamente che non avevo niente da imparare: insolenza orgogliosa, che tutti sanno che non mi appartiene ed è praticamente smentita dal mio filosofare, nel quale il conoscere è in rapporto con la storia, e ogni evento nuovo ritrova gli uomini ignoranti e li costringe a pensare. E poiché gli eventi nuovi sono continui, gli uomini passano di continuo dall’ignoranza al sapere. Ma questo è un ricordo che ha dell’umoristico, e bisogna che sia serbato in questo aspetto. Benedetto Croce”.
IL VERO “DIO” DELLA UFFICIALITÀ VOLTERRISTA DEMOCRATICA QUALE È? - Il Grande Oriente d’Italia - recita l’articolo on-line “150 anni: la massoneria festeggia a Napoli l’unificazione. Filo rosso iniziatico dai giacobini al risorgimento” del 12 ottobre 2011 - ha celebrato a Napoli l’8 ottobre i 150 anni dell’unificazione dell’Italia con un convegno al Teatrino di Corte di Palazzo Reale. L’appuntamento ha costituito una delle tappe delle celebrazioni che la massoneria di Palazzo Giustiniani sta organizzando in tutta Italia per rivendicare con forza la paternità del “Risorgimento” e le sue conseguenze politiche. Il Prof. Piero Craveri, che è nipote di Benedetto Croce, ha riaffermato la continuità diretta tra Rivoluzione del 1799 e Risorgimento, citando giacobini e “patrioti” affiliati alle logge (Gaetano Filangieri, Eleonora Pimentel Fonseca, Carlo Poerio, Bertrando e Silvio Spaventa, Pietro Colletta, Gabriele Pepe…) [fonte: Lettera Napoletana a cura di www.editorialeilgiglio.it]. Il docente universitario Piero Craveri (Torino, 2 gennaio 1938) è uno storico e politico italiano. Figlio di Raimondo ed Elena Croce (Napoli, 3 febbraio 1915 – Roma, 20 novembre 1994 [stesso giorno del padre del 1952]), e nipote quindi di Benedetto Croce, nel 1962 si è laureato in giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma. Partito Radicale-Federalista Europeo Ecologista quale deputato per Alessandria e Tortona. Raimondo Craveri (Torino, 1912 – Roma, 16 ottobre 1992) è stato uno storico, politico e antifascista italiano. Genero di Benedetto Croce, fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Tra i suoi numerosi libri si segnala il “Voltaire: politico dell'illuminismo” (Torino, Einaudi, 1937), primo storico numero della collana “Saggi”. Ha suscitato molte polemiche mediatiche la corresponsione da parte del Senato di un vitalizio come ex senatore per l’importo di 2159 euro mensili, a fronte di soli 7 giorni di mandato parlamentare e, come ammesso dallo stesso Craveri, senza aver mai messo piede un solo giorno in Senato [cfr. Vitalizi, Craveri: “Mai entrato in Senato, ma prendo duemila euro. Non mi vergogno” - Il Fatto Quotidiano] “Non ho mai messo piede in Parlamento, ma prendo il vitalizio. Ho fatto sempre politica”. Non mi vergogno, vergognatevi voi”. Così si difende Piero Craveri, nipote di Benedetto Croce e senatore radicale per qualche giorno nel 1987, a La Zanzara, su Radio 24. Craveri fu proclamato senatore il 2 luglio e si dimise sette giorni dopo, il 9 luglio: prende un vitalizio di 2159 euro al mese per un totale incassato finora (secondo alcuni calcoli) di 509 mila euro (e poco più di 60mila euro versati). “Che volete che dica? Sono un beneficato dei vitalizi” – afferma l’ex parlamentare – “ho dato le dimissioni dopo pochi giorni perché Pannella mi fece dimettere. Me lo chiesero e l’ho fatto. Poi sulla base del regolamento è arrivata una lettera a casa in cui mi chiedevano se volevo versare i contributi come quelli dei senatori in carica. Li versai e successivamente mi è arrivato il vitalizio”. Craveri aggiunge, rivolgendosi al conduttore Giuseppe Cruciani e perdendo le staffe: “Mi sono sempre occupato di politica e non sono il solo. E non mi vergogno di niente. Anzi, si vergogni lei. Cosa volete da me?”. E riattacca. Giuseppe Cruciani e David Parenzo tentano nuovamente di contattarlo, ma l’ex senatore si infuria ancora: “Siete giornalisti del Sole 24 Ore? E allora permettetemi di dire che fate le domande che sono al livello del giornale che interpretate. E non mi scocciate più”. Poi interrompe bruscamente la conversazione di Gisella Ruccia.
IL FRATE BARNABITA CHE PASSEGGIAVA DI RITO CON BENEDETTO CROCE PER SPACCANAPOLI E CHE IN PUNTO DI MORTE LO INVITÒ ALLA CONVERSIONE – Vincenzo Cilento (Stigliano, 1º dicembre 1903 – Napoli, 7 febbraio 1980) è stato un religioso e docente italiano, tra le tantissime pubblicazioni filosofiche, sommo studioso del neoplatonico Plotino. Padre Vincenzo Cilento, nato nel 1903 a Stigliano, dove frequentò la scuola elementare prima di essere accolto nella grande famiglia barnabitica, fu per almeno quattro decenni un punto di riferimento irrinunciabile per tutti i confratelli e i docenti del prestigioso Istituto “Bianchi” di Napoli, ma soprattutto per generazioni di studenti, che si abbeverarono alla fonte pura della sua vasta e profonda cultura.
Docente nelle Università di Bari e di Napoli, indagò con raro acume e raffinata dottrina il pensiero greco antico e la filosofia medievale, pubblicando numerose e importanti opere, a partire dalla traduzione, con apparato critico, delle Enneadi di Plotino. Preceduta dalla traduzione della Vita di Plotino scritta dal discepolo Porfirio, la versione cilentiana dell’opera del filosofo di Licopoli, edita in quattro tomi da Laterza tra il 1947 e il 1949, fu la prima integrale in lingua italiana e con le opere successive diede un considerevole contributo alla conoscenza del neoplatonismo.
L’intenso lavoro intellettuale di Cilento, che coniugava acribia filologica e sapienza filosofica, fu molto apprezzato dal mondo accademico e da tutti i cultori degli studi classici e gli valse, oltre a una meritata fama internazionale, la stima grande e l’affetto sincero di Benedetto Croce, che familiarmente lo chiamava Vincenzino. Il dotto barnabita stiglianese per tali meriti entrò a far parte dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia Pontaniana e di molte altre prestigiose Istituzioni Culturali italiane e straniere [cfr. Vito Angelo Colangelo – 3 febbraio 2020].
Si laureò in Filosofia con lode presso l’Università di Napoli (1930) con una dissertazione sul pensiero di Luciano Laberthonnière del quale aveva seguito gli studi umanistici e teologici. Insegnò per oltre un trentennio varie discipline: filosofia, storia, lettere classiche e italiane al liceo; Storia e Filosofia postclassica alla Scuola di Perfezionamento in Filologia Classica presso l’Università di Napoli. Dal 1949 al 1952 Vincenzo Cilento fu professore incaricato di storia della filosofia antica presso la Scuola di perfezionamento in filologia classica nell’Università di Napoli; nel 1955 conseguì la libera docenza di quella disciplina; fu professore incaricato di storia della filosofia medievale nell’Università di Napoli dal 1955; nel 1963 vinse il concorso per la cattedra di storia della filosofia antica nell’Università di Bari; successivamente fu chiamato all’Università di Napoli (1966) per occuparvi la cattedra allora istituita di religioni del mondo classico e di tale insegnamento fu titolare fino al 1974, anno in cui fu collocato fuori ruolo. Padre Vincenzo Cilento conservò sempre la sua caratteristica di prete e la interpretò come suo primo compito e sua prima missione, anche se l’attività di ordine culturale e intellettuale, nonché i riconoscimenti nazionali e internazionali attribuitigli, potevano mettere in sottordine la figura essenziale della sua opera [Giuseppe Scarane - 24 aprile 2021].
A Natuzza apparve San Tommaso d’Aquino per annunciarle che avrebbe visto tanti defunti ed apparve San Francesco di Paola. Qualche mese dopo la morte di Indro Montanelli furono in molti a chiederle la sorte del geniale giornalista: la risposta della Evolo fu “si è salvato, ma servono tante preghiere”, lasciando intendere che era in Purgatorio. In effetti si venne a sapere successivamente che Montanelli, in punto di morte, decise di ricredersi e trovò la tanto agognata fede, morendo di una morte cristiana. Moriva infatti recitando l’Ave Maria ad alta voce. È nota inoltre l’amicizia instaurata negli anni tra Natuzza Evolo e Padre Pio, spesso assieme per lunghe discussioni. Di fronte alle insistenti richieste della mistica per una benedizione da parte di quest’ultimo, egli era solito rispondere irritato “Ma per carità, a te non serve, te hai la benedizione diretta da Gesù”.
E IL DIO CRISTIANO E’ ANCORA IL NOSTRO?!... - « Gli è che, - asserisce Benedetto Croce - sebbene tutta la storia passata confluisca in noi e della storia tutta noi siamo figli, l’etica e la religione antiche furono superate e risolute nell’idea cristiana della coscienza e della ispirazione morale, e nella nuova idea del Dio nel quale siamo, viviamo e ci moviamo, e che non può essere né Zeus né Jahvé, e neppure (nonostante le adulazioni di cui ai nostri giorni si è voluto farlo oggetto) il Wodan germanico; e perciò, specificamente, noi, nella vita morale e nel pensiero, ci sentiamo direttamente figli del cristianesimo ». Mentre Benedetto Croce AFFERMA il Cristianesimo allo stesso tempo LO NEGA demolendolo con UNA ABILITÀ UNICA: la Rivelazione cristiana si è chiusa con la morte dell’ultimo Apostolo; è l’unica vera Rivelazione sovrannaturale; solo per tale motivo non ve ne saranno altre. Vediamo:
« Nessuno può sapere se un’altra rivelazione e religione, pari o maggiore di questa che lo Hegel definiva la «religione assoluta », accadrà nell’uman genere, in un avvenire di cui non si vede ora il più piccolo barlume; ma ben si vede che, nel nostro presente, punto non siamo fuori dai termini posti dal cristianesimo, e che noi, come i primi cristiani, ci travagliamo pur sempre nel comporre i sempre rinascenti ed aspri e feroci contrasti tra immanenza e trascendenza, tra la morale della coscienza e quella del comando delle leggi, tra l’eticità e l’utilità, tra la libertà e l’autorità, tra il tellurico e il celeste che è nell’uomo, e dal riuscire a comporli in questa o quella loro forma singola sorge in noi la gioia e la tranquillità interiore, e dalla consapevolezza di non poterli comporre mai a pieno ed esaurire, il scntimento virile del perpetuo combattente o del perpetuo lavorare, al quale, e ai figli dei suoi figli, non verrà mai meno la materia del lavoro, cioè della vita.
E serbare e riaccendere e alimentare il sentimento cristiano è il nostro sempre ricorrente bisogno, oggi più che non mai acuto e tormentoso, tra dolore e speranza. E il Dio cristiano è ancora il nostro, e le nostre affinate filosofie (neo deiste, NdA) lo chiamano lo Spirito (leggi lo Stato riformato-rivoluzionario, NdA), che sempre ci supera e sempre è noi stessi; e, se noi non lo adoriamo più come mistero (leggi il Dio Trinitario antico-medioevale confluito in quello deisto-illuminista massonico, NdA), è perché sappiamo che sempre esso sarà mistero all’occhio della logica astratta e intellettualistica, immeritamente creduta e dignificata come « logica umana » ma che limpida verità esso è all’occhio della logica concreta, che potrà ben dirsi « divina », intendendola nel senso cristiano come quella alla quale l’uomo di continuo si eleva, e che, di continuo congiungendolo a Dio, lo fa veramente uomo”. Ringrazio Lorenzo Terzi per avermi rifornito del materiale prezioso su cui ho potuto inoltrare gli studi intorno a Benedetto Croce.
crociana ma ancora sinceramente cristiani, di fronte al disprezzo del Sud colonizzato, risveglino in sé il vero patriottismo cattolico napolitano. E’ Marcello Veneziani a reagire contro l’articolo “Liberare il Sud dalla Suddità” di Roberto Cartocci comparso su “Vita e Pensiero”, N. 6 del Novembre/Dicembre 2006, p. 112, rispondendo nella stessa rivista del Gennaio/Febbraio 2007 (N. 1), pag. 84; il nostro caro giornalista conterraneo, infatti, scrive: “Il Sud d’Italia era meno lontano dal resto dell’Europa (gnostica imperialista protestante, non certo universale latina di Marcantonio Colonna!, NdA) con i Borbone nel Settecento e nel primo Ottocento, piuttosto che dopo l’unificazione nazionale. Dall’Unità d’Italia tre mondi furono esclusi e si autoesclusero: il mondo rurale, il mondo cattolico e ilmondo meridionale. Per il Sud contadino (il lettore legga fertile, NdA) e cattolico, l’esclusione fu triplice (…)”
PIERO GOBETTI E ANTONIO GRAMSCI
DENUNCIA IL METODO SECONDO
IL QUALE BENEDETTO CROCE
PROPINA IL VELENO MASSONICO NELLE COSCIENZE TRAVIATE
COME IL MALTHUSIANISSIMO BENEDETTO CROCE STACCHI DEFINITIVAMENTE IL BLOCCOINTELLETTUALE CREDENTE DALLA GERARCHIA ECCLESIASTICA CONSEGNANDOLO A QUELLE IGNOTE CARBONARE - Andiamo all’articolo del liberale COME IL MALTHUSIANISSIMO BENEDETTO CROCE STACCHI DEFINITIVAMENTE IL BLOCCOINTELLETTUALE CREDENTE DALLA GERARCHIA ECCLESIASTICA CONSEGNANDOLO A QUELLE IGNOTE CARBONARE - Andiamo all’articolo del liberale Pietro Gobetti “Croce oppositore” comparso sul giornale “La rivoluzione liberale” del 6 settembre 1925. “Il suo atteggiamento è sabaudo, con elementare franchezza, indulgente alle teorie ma intransigente sulla serietà degli uomini, ostinatamente fedele alle virtù civili e alle caratteristiche storiche della razza.
Così la sabauda devozione allo Stato di questi uomini è devozione allo Stato laico nutrita di ossequio alla religione e di diffidenza verso i preti, Pietro Gobetti “Croce oppositore” comparso sul giornale “La rivoluzione liberale” del 6 settembre 1925. “Il suo atteggiamento è sabaudo, con elementare franchezza, indulgente alle teorie ma intransigente sulla serietà degli uomini, ostinatamente fedele alle virtù civili e alle caratteristiche storiche della razza.
Così la sabauda devozione allo Stato di questi uomini è devozione allo Stato laico nutrita di ossequio alla religione e di diffidenza verso i preti,
una laicità perfettamente antitetica all’Anticlericalismo rumoroso
dei romagnoli atei, pronti a innammorarsi della Chiesa”.
Il più grande responsabile dell’Intelletto Scolasticamente Modificato oppure Artatamente Codificato. Nella nota 31 alle pagine 163-164 Guido Verucci riporta che nella lettera a Tania del 25 aprile 1932 Antonio Gramsci scriveva: «Bisogna tener conto (…) che a molti il pensiero di Croce non si presenta come un sistema filosofico massiccio e di difficile assimilazione come tale. Mi pare che la più grande qualità di Croce sia sempre stata questa: di far circolare non pedantescamente la sua concezione del mondo in tutta una serie di brevi scritti nei quali la (sua, NdA) filosofia (gnostica maltusiana, NdA) si presenta immediatamente e E VIENE (fallacemente, NdA) ASSORBITA
- come buon senso
- e
- senso comune.
Così le soluzioni (gnostiche gianseniste maltusiane, NdA) di tante quistioni (fondamentali dell’uomo sia naturali che religiose ovvero sia morali e teologiche NdA)
- finiscono col circolare divenute anonime,
- penetrano nei giornali,
- nella vita di ogni giorno
- E SI HA
- una grande quantità di ‘crociani’
- che non sanno di esserlo
- E CHE MAGARI
- non sanno neppure che Croce esista»
(cfr. A. Gramsci, “Lettere dal carcere”, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Torino, Einaudi, 1956, pp. 612-613). Pare leggere il passo del Vangelo sulla zizzania.
COLUI IL QUALE SOSTIENE CHE I DIECI COMANDAMENTI
NON SONO AFFATTO INNEGOZIABILI
MA SEMPLICE ESPRESSIONE DELLA MUTEVOLE CULTURA UMANA
CERCA DI NOBILITARSI DIETRO VUOTE DEFINIZIONI NOBILISSIME
ARGOMENTARE CARBONARO ALLA PERFEZIONE DIETRO NOMI APPARENTEMENTE CRISTIANI - Riguardo al Cristianesimo puritano senza più Rivelazione ovvero riguardo a una vera e propria Strategia della Confusione dei Termini, potremmo citare i vari titoli degli articoli apparentemente teologici quali “Il riposo prima della morte”,“Discorrere della morte”, “Un altro esempio per l’antologia” (sul presepe (“Terze pagine sparse”, vol. I); “Religione e serenità” (sembrerebbe il contrario di Marx e Lenin), “Di là dalla vita”, “Il non pensare e la fede”, “L’individuo, la Grazia e la Provvidenza”, “La Provvidenza”, “Religiosità”, “Agli amici che cercano il “Trascendente”” in “Etica e politica, Aggiuntovi il Contributo alla critica di me stesso”, Laterza, Bari 1956;
“L’interferenza del problema dell’essere e del conoscere in quello dell’unità dello Spirito” in “Nuovi saggi di Estetica”,Bari 1948; “Cultura storica, scienza, azione e religione” in “Discorsi di varia filosofia”, Bari 1945, vol I; “Sulla parola e sul concetto di fede”, “Professioni di fede” in “Pagine sparse, Postille – Osservazioni su libri nuovi ”, (Napoli 1943) Bari 1960, vol. III; “La “vita eterna””, “La “paura” che rilutta al credere” in “Nuove pagine sparse”, Bari 1966, vol. I e via discorrendo. Vediamo ad esempio cosa egli dica in alcuni di tali titoli.
SULLA PAROLA E SUL CONCETTO DI FEDE - La critica della storia fatta sulle testimonianze, la riduzione di essa a semplice momento sussidiario dell’indagine o a raccolta di materiale per fini estranei alla storia, l’innalzamento della verità storica a verità interna c di autocoscienza, eliminano dal campo così del pensiero come dell’azione il concetto di fede. Non avrebbe senso dire: « Ho fede nella verità di quel che penso », perché il pensiero stesso è la verità e non ha d’uopo di un appoggio fuori di sé, in un esterno che si chiami « fede ».
Né ha senso dire: « Ho fede in ciò che auguro, desidero, voglio », perché augurare, desiderare, volere si reggono su se stessi, e la parola qui si ritrova tautologica, non venendo ad affermare altro se non che si augura, si desidera, si vuole un determinato accadimento. E quando par che un senso abbia l’altro detto: che il pensiero-verità si converte in fede per diventare fondamento sul quale sorge la volontà e l’azione, non si fa altro che segnare il passaggio dal pensiero all’azione, e quella conversione in fede è il sorgere e il germinare dell’azione, la chiusura del processo intellettivo e l’apertura di quello operativo. « Fede » è un termine e un concetto che ha luogo soltanto nella discussione delle testimonianze e della loro maggiore o minore autorità, e, trasportato fuori di questo campo, o perde ogni significato, come si è detto, o ne assume uno irrazionale, come nelle religioni, in cui le testimonianze sono adoperate a porre e convalidare affermazioni di natura speculativa”.
PROFESSIONI DI FEDE - Tornando sull’uso di fede nel senso pratico, e identificata questa parola con l’azione pratica stessa, si ha un criterio chiaro per far giudizio del vanto, ora così frequente e fastidioso, di possesso e di entusiasmo per la propria fede. Bella cosa e indispensabile è, in questo caso, la fede: ma come sopra si è determinato, essanon sfugge alla disamina della coscienza morale, e, per meritare la dignità che si attribuisce, deve essere nient’altro che volontà morale.
La quale, senza dubbio, consente e richiede le più varie fedi, ma sotto condizione che tutte esse siano, non a parole ma, effettualmente, pure nella intenzione, scevre di motivi egoistici, sicché, pur diverse e contrastanti, per questo loro comune carattere morale collaborino all’uno. Quanti sono, a tale stregua, gli uomini di fede? Di minor numero certamente di quello che vorrebbero far credere coloro che gridano e gesticolano il loro ardore di fede, e da andare a rintracciare tra gli altri che non gridano e non fanno gesti da entusiasti o da ossessi (la cui allusione alla liturgia cattolica sembrerebbe abbastanza chiara, NdA)”. (“Pagine sparse”, vol. III, pp. 48-49).
IL RIPOSO PRIMA DELLA MORTE – Il bisogno di riposo trova un appagamento fantastico in una immaginaria condizione in cui si entrerebbe negli anni della vecchiezza. Del pari per allora si disegna di rileggere, traendone non so quale soddisfazione, le tante lettere che si conservano dell’età giovanile ed adulta, ma questa speranza è stata già ridotta al contrario da una ammonitrice novella del Maupassant: “Ne relisez jamais vos vieilles lettres”.
Il riposo degli anni tardi è di solito costrizione per malanni, e Giambattista Vico ne informava così i lettori dell’“Autobiografia”: “Per l’avvanzata età, logora da tante fatiche, afflitta da tante domestiche cure, e tormentata da spasimosi dolori nelle cosce e nelle gambe, e da uno stravagante male che gli ha divorato quasi tutto ciò che è al di dentro tra l’osso inferior della testa e il palato, il Vico rinnonziò (sic) affatto agli studi e distribuì agli amici suoi lavori in corso. Ma non sappiamo se e quanto egli difendesse ancora le sue teorie con coloro che lo visitavano, e contro quegli “emoli”, come egli li chiamava, che le negavano senza intenderle. Il vero è che fin che si vive si combatte contro lamorte, e questa è stata detta giustamente: ultimo atto della vita. Un assoluto riposo, vivcndo, è contraddizione in termini.
Il poeta a me carissimo, Salvatore di Giacomo, diceva alla vecchia signora inglese che affettuosamente lo assisteva nella sua ultima malattia, ed essa mi ripeteva con le sue parole: “Io non pensavo che ci volesse tanta fatica a morire”. Il riposo nella tomba non è un riposo, perché non è seguito da aspettnzione di lavoro”.
DISCORRERE DELLA MORTE - Ma della propria morte bisogna non parlare nelle conversazioni: perché c’è rischio di offendere molte credenze care al cuore dell’uomo. Eppure ognuno vede a ogni istante morire tante cose intorno a sé e non vede mai alcuna riviverne quale era prima. E intanto la gente parla del mistero e anzi dei misteri della morte e spera che un giorno le saranno rivelati.
Il filosofo seicentesco Gassendi diceva a qualche amico, dopo essersi bene assicurato che nessuno poteva udirlo: “Io non so chi mi ha messo al mondo. Io ignoro quale era il mio destino, e perché mi si ritiri da esso” (Boureau-Deslandes, Réflections sur les grand hommes qui sont morts en plaisantand”, 1712; nou. Edit., Amsterdam 1758, pp. 96-97). Triplice ignoranza che è una strana conclusione per una filosofia, ma che vale meno di ciò che ognuno di noi possiede nel fondo del suo pensiero e che non ci impedisce, e anzi ci anima, a compiere i nostri doveri in questa che è la sola vita che conosciamo” (pp. 174-175).
LA STRATEGIA CONFLITTUALE DEI TERMINI – Benedetto Croce ricorre agli stessi termini cattolici per ben inculturarli nell’Intelletto Scolasticamente modificato precludendone il significato ortodosso; Benedetto Croce codifica in Italia la religione gnostica cristiana senza più Gesù Cristo. Così il verbo cattolico viene condannato a morte, è vanificato già prima che esca dalla bocca dei ministri sacri; l’esperienza nel Convegno di Castel di Sangro nel 2005 di cui parlo in “Halloween” lo dimostra: fui zittito certamente perché sacerdote. Anziché “Lettura dal Vangelo secondo Matteo, Marco…” si inizia la “Lettura dal Vangelo secondo Croce”. Al Sangue universale di Gesù Cristo il Risorgimento contrappone il sangue gnostico di Giordano Bruno. Il nome, i genitori, la moglie di Benedetto Croce parlano tutti di Cattolicesimo. E il fratello Alfonso?....
Ricordo che non vi è cosa in cui non rientri una citazione di Benedetto Croce. Quando stavo in Seminario il professore di Dogmatica padre Raimondo Corona ricordava che allorché lo studioso tedesco, Hubert Jedin, se ben ricordo, scese a Napoli a studiare i documenti originali del Concilio di Trento, si incontrava spesso con Benedetto Croce; ma nulla mai seppi di come Benedetto Croce trattasse il Concilio di Trento.
Il mio padrino di Cresima Don Franco Fantini ricorda sempre il bel nome di Benedetto Croce mentre il parroco di Santa Caterina d’Alessandria in Pozzilli, Don Gaetano Mencaroni, fa notare che il grosso problema di oggi è sollevato nell’obiezione: “Io credo in Dio e basta”. Se qualcuno potesse rimproverargli perché ricorre spesso al linguaggio teologico, Benedetto Croce risponderebbe candidamente di non aver forse scritto “Perché non possiamo non dirci “cristiani” ”?! Dovremmo vedere l’incidenza della lettera a Tommaso Persico che andiamo esaminando contro le insorgenze, nell’indirizzo storico di quello Scrittore tra quanto scritto prima e quanto scritto dopo il 25 settembre 1799. Benedetto Croce rimprovera ai cattolici la “leggenda tragica” dell’esecuzione di Giordano Bruno, e lo fa lui, che, sotto la copertura della Strategia dell’apparenza, definisce ‘illusione’, ovvero astorica, la macchina di orrori giacobina!
5 APRILE 2020 - Carissimo don Giuliano, buonasera, ieri sera a tv 2000, ho seguito una bellissima puntata in prima serata che riguardava il supereretico Giordano Bruno, considerato eretico anche dai protestanti. Grande bestemmiatore. La Chiesa, ha fatto di tutto per salvarlo, come Giuda, si è rifiutato. Sono intervenuti molti storici. Alla fine, ha parlato anche della Massoneria, che lo ha elogiato e fatto statue.
MESSAGGIO GIUNTOMI INTORNO A GIORDANO BRUNO DA UN MIO FIGLIO SPIRITUALE IL QUALE HA DESIDERATO INFORMARMI CHE ASCOLTANDO CELEBRI STORICI GLI SEMBRAVA SENTIRE PARLARE ME PER BOCCA LORO, QUINDI UNA CONFERMA INNEGABILE MATEMATICA CHE QUANDO INFORMO SONO MOSSO SOLO E SOLTANTO DALL'AMORE PER LA CHIESA SAN FRANCESCO MARTO,
NATO AL CIELO IL 4 APRILE 1919, OFFERTO VITTIMA PER LA CONVERSIONE
DEI PECCATORI ASSIEME ALLA SORELLINA GIACINTA, QUINDI MORTI SOLI NEL LETTO DI OSPEDALE A CAUSA DELLA FEBBRE SPAGNOLA, INTERCEDETE PER LE NOSTRE SVENTURATE NAZIONI AFFINCHÉ IL SIGNORE GESÙ DIETRO VOSTRA INSISTENZA ASSIEME AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA VERGINE SUA TENERA MADRE, PONGA FINE SIA AL MORBO STERMINATORE DEI CORPI SIA A QUELLO STERMINATORE IDEOLOGICO DELLE ANIME.
POICHÈ IL 13 È IL NUMERO CARO AGLI ILLUMINATI, BERTRANDO SPAVENTA MUORE NEL XIII ANNIVERSARIO DELLA BRECCIA DI PORTA PIA: 1870 - XX SETTEMBRE - 1883 (ANNO LUTERANO-MARXIANO) - I GENITORI DI BENEDETTO CROCE MUOIONO NEL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA DEL 28 LUGLIO 1883, IL 20 SETTEMBRE DELLO STESSO 1883 MUORE IN NAPOLI IL PRETE APOSTATA BERTRANDO SPAVENTA MENTRE SUO FRATELLO SILVIO CHE È INTANTO APPENA DIVENUTO IL TUTORE UFFICIALE DI BENEDETTO CROCE MORIRÀ IN ROMA
IL 20 GIUGNO 1893: NEL FRANGENTE BENEDETTO CROCE CHE GIÀ DI NASCOSTO DAI GENITORI SEGUIVA LE LEZIONI LAICISTE DI BERTRANDO D'ORA INNANZI PUÒ SPOSARLE INCONDIZIONATAMENTE IN ROMA. QUINDI SOLO SILVIO VEDRÀ IL MONUMENTO DI GIORDANO BRUNO IL 9 GIUGNO 1889. I MISFATTI DI FILIPPO BRUNO A LONDRA NON RISULTANO NEL PROCESSO PENALE DEFINITO DALLO STORICO MATTEO D'AMICO SULLA LINEA DI LUIGI FIRPO
"IL PIÙ GRANDE PROCESSO IN CUI BRILLANO LE GARANZIE
PRO REO" DI TUTTO IL XVI SECOLO"
MA RISULTANO NE "IL MISTERO DELL'AMBASCIATA" DELLO STORICO JOHN BOSSY PUBBLICATO NEL 1991. E QUINDI DELLE ANIME DA SALVAGUARDARE DAI LUPI VESTITI DA AGNELLI.
AI TANTI INNAMORATI DI OGGI IN GENERALE ED A NESSUNO IN PARTICOLARE - Carissimi attenzione perché oggi siete come questi due cuori ma appena vi lasciate non continuate ad amarvi ed onorarvi neppure come semplici conoscenti immaginandovi film di ogni colore possibile ed impossibile l'uno contro l'altro! Perciô in questo mare di eccessi cerchiamo di ritornare al buon senso ed alla normalità!
14 FEBBRAIO I COMPATRONI D'EUROPA,
I SANTI CHE HANNO EVANGELIZZATO LE NAZIONI PAGANE SLAVE LASCIANDO A INDELEBILE IMPRONTA L'INCONFONDIBILE ALFABETO CHE PRENDE IL NOME DA LUI, IL MONACO BENEDETTINO SAN CIRILLO! RADICI GRECO-LATINO-CRISTIANISSIME DELL'EUROPA AVANTI!
LUI È FILIPPO BRUNO, GIORDANO È IL NOME DI PROFESSIONE RELIGIOSA CHE LUI STREGONE CALPESTA!!!!!!
NERONE MUORE SUICIDA IL 9 GIUGNO DEL 68 E LA STATUA A GIORDANO BRUNO VIENE INNALZATA DAI MASSONI (MENTRE PAPA LEONE XIII FA PENITENZA E DIGIUNO IN VATICANO!) IL 9 GIUGNO 1889 PER RIAPRIRE LA PERSECUZIONE ANTICATTOLICA NERONIANA E CONTRO LA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE
1889 = 18 + 89 = 6 + 6 + 6 = 666 = Satana e il 9 rovesciato ed invertito dà sempre il 68 oltre all'89 satanico del Centenario Giacobino francesista.
FILIPPO BRUNO RINNEGATORE DEL NOME GIORDANO DI PROFESSIONE RELIGIOSA DOMENICANA È UN ASSATANATO IRREPARABILE COLPEVOLE INESCUSABILE AVENDO FATTO IL PATTO COL DIAVOLO, GIAMMAI È UNA POVERA VITTIMA INDEMONIATA O POSSEDUTA INNOCENTE! DEL RESTO FU CONDANNATO DOPO BEN SETTE ANNI DI PAZIENZA PUR DI REDIMERLO DA SAN ROBERTO BELLARMINO PATRONO DELLA SUA DIOCESI DI CAPUA!
ATTENZIONE: UN SACERDOTE HA SCRITTO QUESTO. COME RISPONDETE
Ho letto personalmente il verbale del processo contro Giordano Bruno all’Archivio Segreto della Santa Sede, e malgrado l’evidenza di una vita poco edificante, non hanno individuato niente reo di morte negli scritti dell’accusato. Per esempio, l’esistenza di altri universi e ‘ormai in ipotesi scientifica con sostegno matematico, anche se per ora manca l’evidenza empirica. L’altro tema, la divinazione, lui negava.
E l’Urim e Thummim, a che cosa servivano? La condanna a morte fu in ogni caso eccessiva, data l’evidenza verificata nel verbale.
QUALE FIDUCIA POSSIAMO GIAMMAI DARE AL CLERO LIBERAL SEMPRE SMENTITO DALLA STORIA! IL SANTO INQUISITORE FU IL DOTTISSIMO E PIISSIMO
SAN ROBERTO BELLARMINO!
STREGONE ED ALTO TRADITORE DEL PROPRIO SACERDOZIO CATTOLICO E DELLE ANIME CHE SI AFFIDAVANO A LUI IN FORZA DEL SUO ABITO: DA TALE ESALTAZIONE SPREGIUDICATA QUALE MARTIRE NE DERIVA INEVITABILMENTE LA CONCLUSIONE CHE PER IL CESARISMO LIBERAL CABALISTA MALTHUSIANO DITTATORIALE TOTALITARIO Ė EROE MASSIMO SOLO CHI TRADISCE IRREPARABILMENTE LA CHIESA CATTOLICA... LIBERO TRADIMENTO ANTI-NATURAL-CRISTIANISSIMO ALTRO CHE LIBERO PENSIERO!....
STREGONE ED ALTO TRADITORE DEL PROPRIO SACERDOZIO CATTOLICO E DELLE ANIME CHE SI AFFIDAVANO A LUI IN FORZA DEL SUO ABITO: DA TALE ESALTAZIONE SPREGIUDICATA QUALE MARTIRE NE DERIVA INEVITABILMENTE LA CONCLUSIONE CHE PER IL CESARISMO LIBERAL CABALISTA MALTHUSIANO DITTATORIALE TOTALITARIO Ė EROE MASSIMO SOLO CHI TRADISCE IRREPARABILMENTE LA CHIESA CATTOLICA... LIBERO TRADIMENTO ANTI-NATURAL-CRISTIANISSIMO ALTRO CHE LIBERO PENSIERO!....
SOLO PER IL FATTO CHE LA SETTA MASSONICA RAFFIGURA TALE ALTO TRADITORE DELLA CHIESA CATTOLICA IN CAMPO DEI FIORI A ROMA CON L'ABITO DOMENICANO È ARROGANZA SATANICA INCONTROVERTIBILE! COME SAREBBE GIAMMAI POSSIBILE RAFFIGURARE AD ESEMPIO A FUTURA MEMORIA UN GENERALE CHE HA TRADITO IL PROPRIO ESERCITO E LA PROPRIA PATRIA CON TANTO DI DIVISA ADDOSSO!.... LO RAFFIGUREREBBE MESCHINAMENTE COSÌ SOLO L'ESERCITO OPPOSTO FAVORITO A VINCERE APPUNTO DAL SUO ALTO TRADIMENTO!
I PROCESSI A BRUNO E TOMMASO CAMPANELLA VENNERO DISTRUTTI COME I TANTI ALTRI QUALI CARTA DA MACERO A PARIGI IN CUI VENNERO PORTATI DA NAPOLEONE PERCHÉ CON LA RESTAURAZIONE NON VENNERO ASSEGNATI I FONDI DOVUTI ALLA SANTA SEDE PER RIPORTARLI A ROMA! E I LOCALI PARIGINI SERVIVANO AD ALTRO! A ROMA PERÓ SI È SALVATO IL SOMMARIO. PER LUIGI FIRPO STORICO LAICO MA NOTISSIMO DELL'INQUISIZIONE BRUNO MERITÒ LA PENA CAPITALE PER I SUOI MISFATTI ALTROCHÈ!
CLERO LIBERALE, CAVALLO DI TROIA NELLA SANTA MADRE CHIESA NULLA HAI LETTO DELL'ERETICO CHE ACCUSÒ GIORDANO BRUNO DINANZI ALLA SANTA INQUISIZIONE PERCHÉ TROPPO ERETICO PER LUI STESSO ERETICO?!!!!!!!!!!
RIBADIAMO CHE NON È STATA LA SANTA INQUISIZIONE DEL SANT'UFFIZIO A DISTRUGGERE TRA I TANTI ANCHE I PROCESSI A GIORDANO BRUNO E TOMMASO CAMPANELLA MA LE CONSEGUENZE INEVITABILI DELLA CATASTROFE NAPOLEONICA: NESSUN FONDO ALLA SANTA SEDE PER RIPORTARE LE MIGLIAIA DI FASCICOLI DA PARIGI A ROMA, QUINDI DISTRUZIONE QUALI CARTA VECCHIA!
QUINDI SOPRAGGIUNGERANNO I QUATTRO TESTIMONI OCULARI AFFERENTI LE SUE BESTEMMIE BLASFEME: FRA CELESTINO DA VERONA, GIULIO DA SALÒ, FRANCESCO VAIA E MATTEO DE SILVESTRIS CHE SMASCHERERANNO IL SUO VITTIMISMO IPOCRITA CHE ANDAVA INGANNANDO I GIUDICI: INFATTI NEL CONDURLO AL ROGO DOVRANNO METTERGLI ALLA BOCCA LA MORDACCHIA PER NON FARGLI PIÙ RIPETERE LE BESTEMMIE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI FERMO RESTANDO L'EVIDENTE SUO SGUARDO DI ODIO AL SANTISSIMO CROCIFISSO: LA MORDACCHIA STESSA, QUINDI, È LA PROVA ULTRAINNEGABILE DELLA VERIDICITÀ DELLE ACCUSE SUDDETTE: IL TESTE OCULARE È
GASPARE SCHOPP
EX LUTERANO TEDESCO CONVERTITO AL CATTOLICESIMO
PRESENTE IN ROMA
ALTRI TESTI CITATI DA FRA CELESTINO DA VERONA: FRANCESCO IERONIMIANI, SILVIO CANONICO DI CHIAZZA E FRA SERAFINO DI ACQUASPARTA: ANCHE QUANDO NELLA DENUNCIA VIENE RIFERITO CHE EGLI VANTA DI RITORNARE NELL'EUROPA PROTESTANTE CHE STIMA RISPETTO ALLA CATTOLICA CHE NE AVREBBERO MAI SAPUTO DEI SUOI SPOSTAMENTI IDEOLOGICI QUESTI TESTI!
https://www.ilgiornalelocale.it/2016/02/a-nola-la-chiesa-restaurera-la-statua-delleretico-giordano-bruno/
NEL RISORGIMENTO I MASSONI SOSTENEVANO CHE NON ERANO I RAGAZZI MA I CLERICALI AD AVER COLPITO A SASSATE LA STATUA DELLO STREGONE GIORDANO BRUNO.... SE OGGI L'HA NIENTEMENO RESTAURATA LA CURIA DIOCESANA NON DOBBIAMO POI MERAVIGLIARCI SE QUELLA SIGNORA DEVOTA LO PREGAVA QUALE MARTIRE E SANTO!
http://www.nonsolonola.it/cuktura-ed-eventi/eventi/12796-nola-la-statua-di-giordano-bruno-compie-150-anni-dalla-sua-inaugurazione
DANNI CAUSATI DAI CLERICALI!!!
IL PRETE APOSTATA IL MASSONE BERTRANDO SPAVENTA ZIO, DEFUNTO FRATELLO DEL TUTORE DEL BENEDETTO CROCE MINORENNE, FU IL PROFESSORE UNIVERSITARIO CHE IN ROMA CONVINSE GLI STUDENTI PER OTTENERE LA COSTRUZIONE DEL MONUMENTO AL SUO ANTICO COMPAGNO RINNEGATO GIORDANO BRUNO. SI VEDA LA MANO NASCOSTA, SIMBOLO INCONFONDIBILE DELL'APPARTENENZA ALLA SETTA MASSONICA
IL 26 SETTEMBRE 1888 IL VESCOVO VEGGENTE FRANCESCO MACARONE PALMIERI CONCLUDEVA CHE LE APPARIZIONI A CASTELPETROSO DAL 22 MARZO-1 APRILE DI QUELL'ANNO ERANO DELIBERATE DALLA PROVVIDENZA PER RIPORTARE I TRAVIATI SULLA RETTA VIA. IL 10 GIUGNO 1888 GRANDI FESTEGGIAMENTI SATANISTI A GIORDANO BRUNO IN NOLA
NELLE DUE SICILIE È STATA CANCELLATA LA TERRA NAZIONALE CON LE DUE CAPITALI, NELL'ISTRIA-DALMAZIA-VENEZIA È STATA CANCELLATA L'INTERA POPOLAZIONE LATINA!
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